Lateral hire, offerta multidisciplinare tecnologia: ecco la strategia di EY
Leadership e vision. Per la prima volta nella storia del mercato dei servizi legali in Italia, una professionista diventa “il capo” di un’organizzazione di cui non è stata fondatrice e che ha dimensioni da media impresa. Stefania Radoccia, 49 anni, giuslavorista di formazione, manager per vocazione, negli ultimi tre anni ha portato avanti un percorso di crescita personale e professionale culminato con la nomina, lo scorso mese di luglio, a managing partner di EY tax and law in Italia: 640 professionisti, di cui 63 tra partner e associate partner e un fatturato che, nell’ultimo esercizio si è attestato a 104 milioni di euro (qui la notizia anticipata da legalcommunity).
E adesso? «Dobbiamo diventare uno dei primi studi legali in Italia», dice a MAG. Anche se a ben guardare, il compito sembrerebbe già assolto. Lo studio è tra i primi dieci attivi nel mercato italiano. «Vogliamo diventare uno dei primi cinque – sorride – e poi, magari, dei primi tre. Non possiamo certo ragionare al ribasso, non crede?».
La nomina di Radoccia alla guida dello studio legale e tributario di EY è arrivata dopo tre anni in cui l’avvocata ha diretto il braccio legale della struttura, portando a casa risultati notevoli. Il numero di avvocati è praticamente raddoppiato, passando da 84 a 164. Mentre il fatturato (legal) è aumentato addirittura di tre volte passando dai 7-8 milioni del 2016 a ben oltre i 20 milioni di oggi.
Nel frattempo, Radoccia ha studiato. Letteralmente. Ha frequentato un corso di leadership & management alla Kellogg’s school of management della Northwestern University mentre alla business school di Harvard ha approfondito le sue competenze in tema di strategy.
Al momento della sua investitura come managing partner di EY, ha presentato un piano quinquennale (il mandato ha una durata di quattro anni più quattro) dando forma alla sua visione del mercato e mettendo in evidenza le opportunità di crescita per lo studio.
La parola che in qualche modo riassume il tutto è multidisciplinarietà: offerta integrata di competenze e servizi «cross service line». EY è un mondo dove, ormai, ogni unità di business non vive più separata dalle altre, ma interagisce e crea sinergie con il resto della struttura avendo come principale obiettivo l’utilità per i clienti.
«L’integrazione – spiega Radoccia – non si riduce semplicemente alla formuletta per cui l’advisory vende per il fiscale, il fiscale per il legale e così via. Il nostro approccio è diverso. Si integrano i servizi in maniera osmotica. Si sviluppano insieme delle offerte cross service line. E questo porta ad avere una strategia di mercato condivisa e non più onnivora».
Il che, sottolinea l’avvocata, si riflette anche sulla politica di investimenti dello studio che oggi si presenta in maniera molto diversa da come è stata gestita nella precedente stagione di espansione per il comparto, vale a dire negli anni Novanta. «All’epoca – racconta la managing partner di EY tax and law in Italia – le big four, anzi five (visto che c’era ancora la Arthur Andersen) puntarono soprattutto ad aggregare studi, professionisti e ovviamente fatturato sul territorio nazionale». Un approccio che, come ha insegnato la storia, non ha portato grandi risultati. «Adesso, invece, si acquisiscono competenze per integrarle all’interno della struttura e per portare avanti un’attività di mercato organizzata per market segment».
Questa, dice Radoccia, è l’unica strada per intercettare lavoro «premium price»: «Individuiamo l’industry d’interesse e costruiamo un’offerta che include non solo le competenze tecnico giuridiche tipiche di uno studio legale e tributario, ma anche quelle di strategy e transaction support, caratteristiche di una grande società di consulenza». Le competenze di base, sottolinea la managing partner, non sono più vendibili. «Oggi le informazioni sono tutte a disposizione di chiunque sia dotato di un collegamento internet. I clienti vogliono idee, non la produzione seriale di documenti».
Ovviamente, lo spazio per l’improvvisazione è zero. E la tecnologia è un alleato fondamentale. In particolare per gestire e analizzare i dati. Sono questi il “petrolio” di questa nuova stagione del settore. «Ce lo dicono i clienti – conferma Radoccia – “voi avete i dati, voi avete la conoscenza del mondo all’interno della vostra organizzazione”». È una questione di quantità: migliaia di clienti, attivi in centinaia di settori e basati in decine di giurisdizioni diverse. EY sta lavorando proprio sull’estrazione e l’impiego di questa materia prima, «producendo dei tool di predictive». Si tratta di macchine, «che raccolgono dati a livello globale, per esempio su come si muovono le transazioni. Sotto la lente finiscono le tendenze nei vari market segment. E il risultato sono una serie di informazioni utili a definire con grande precisione e puntualità le strategie più competitive».
A proposito di “strumenti” ovvero, software e robot, EY ha da poco inaugurato a Bari un competence center in collaborazione con il Politecnico…
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