Avvocati: cambiare l’esame d’ammissione. Ma non (solo) per l’effetto lotteria

di nicola di molfetta

A inizio settembre, la notizia che solo il 35% dei praticanti che aveva sostenuto la prova scritta per l’ammissione all’esercizio della professione forense dello scorso dicembre 2019 era riuscito a superarla ha scatenato una ridda di polemiche.

Neanche quattro candidati su dieci sarebbero stati in grado di svolgere adeguatamente la prova. E per questo saranno costretti a ritentare la sorte al prossimo giro.

Sì, sono in molti a pensare che il problema più grande della attuale procedura di selezione della classe forense di domani sia la formula in cui l’esame è congegnato.

Troppi candidati. Troppa carta. Troppo poco tempo per gestire in maniera adeguata quella mole di documenti. E quindi, alla fine, il rischio che non tutti i compiti vengano corretti con la dovuta attenzione diventa alto. Tutto rischia di risolversi in una questione di fortuna.

Questo può essere senza dubbio un grande problema. Ma se dovessimo mettere in fila le ragioni che impongono una riforma strutturale dell’esame di ammissione all’esercizio della professione forense, il cosiddetto “effetto lotteria” non sarebbe in cima alla lista.

Sono anni, infatti, che raccontiamo una professione che cambia. Sono anni che diciamo che non esiste una figura di avvocato univoca e monodimensionale e che bisognerebbe preparare i nuovi giuristi a una realtà profondamente diversa da quella immaginata sui banchi dell’Università.

Le aree di attività si sono moltiplicate così come i possibili settori di specializzazione. Le professioni del diritto esulano dalla sola dimensione giudiziale.

Il ruolo e la funzione di un avvocato possono svolgersi nel processo tanto quanto al di fuori di esso. Nel libero foro così come in un’azienda, sia essa una Sta o un’impresa d’altro genere che giustamente sceglie di affidare il presidio delle proprie esigenze legali a un professionista iscritto agli albi.

Se il mercato dei servizi legali è stato stravolto da una lunga serie di eventi che ne hanno profondamente modificato la morfologia incidendo sulla figura stessa dell’avvocato (non più solista, non più generalista, non più legato ai confini nazionali, non più protetto dalla concorrenza, non più solo tecnico eccellente del diritto) è evidente che il percorso di formazione della nuova classe professionale debba essere rivisto del pari e che il processo di selezione debba tener conto di diversi indirizzi e molteplici vocazioni che possono avvicinare le nuove generazioni a questa antica e nobile professione.

La selezione, con questo, non diventerà meno severa. Le maglie dell’accesso al mercato non si allargheranno improvvisamente. Ma auspicabilmente, il filtro delle prove e dei test servirà ad aprire le porte a una classe forense più consapevole e meglio distribuita.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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