20 anni di Freshfields in Italia. Tutto è cominciato così
MAG ha incontrato i soci Enrico Castellani e Nicola Asti. «Abbiamo portato la democrazia in un mercato feudale»?
Tutto è cominciato con una telefonata. «Secondo me dovreste vedervi». Il suggerimento arriva a Enrico Castellani (nella foto, seduto sulla sinistra) da un cliente, un manager dell’allora Banca Internazionale Lombarda convinto che l’avvocato debba prendere un aereo e andare a Londra per fare una chiacchierata con Freshfields.
Siamo nel 1990. In Italia gli studi stranieri non sono ancora arrivati. L’unica eccezione è rappresentata da Baker & McKenzie. A Londra, però, c’è chi pensa che sia giunto il momento di stabilire un presidio diretto nella Penisola. Nick Tarling, socio di Freshfields, è uno di questi. Ha 49 anni. E da tempo ricopre il ruolo di “ministro degli esteri” per lo studio, ovvero si occupa delle strategie di espansione internazionale della law firm di cui è socio dal 1974. Castellani, invece, è il partner di Castellani e Associati. Bolognese, classe 1960, ha lavorato a lungo con Luca Birindelli (ex Pavia e Ansaldo, che molti ricordano per essere stato il primo avvocato italiano ammesso all’esercizio della professione in Cina) e si è formato sulle scrivanie dello studio Ardito.
L’incontro effettivamente serve. Da Londra cominciano ad arrivare i primi mandati. Una pratica alla volta, Castellani diventa uno dei principali referenti dello studio inglese in Italia, facendosi spazio tra competitor del calibro di Ughi e Nunziante, Chiomenti e Guido Rossi. Mentre l’idea di aprire una sede a Milano, per il momento, viene messa nel cassetto.
«Siamo nel 1992», racconta Castellani, «e l’Europa affronta un periodo di pesante recessione che induce lo studio a rallentare la sua politica espansionistica». Ma non è tutto. Un altro dei motivi per cui l’apertura italiana viene rinviata a data da destinare è anche l’impressione che Philip Richards, futuro managing partner dello studio in Italia (tra il 2001 e il 2005) riporta ai suoi soci londinesi dopo alcuni mesi di secondment trascorsi in studio da Guido Rossi. «Il Paese non è ancora pronto», sentenzia lapidario. Probabilmente ha ragione.
«Il mercato italiano», ricorda Castellani, «in quell’epoca è fatto di boutique. Persino quelli che sono considerati studi grandi, non contano più di 20-30 professionisti. E poi, le personalità che li guidano sono molto diverse dai loro analoghi inglesi. Parliamo di “imperatori” a cui è impensabile proporre di accettare una sorta di nuovo ordine democratico». I signori di queste boutique non solo sono avvocati estremamente autorevoli e apprezzati sul mercato, ma sono detentori di aspettative economiche difficili da combinare con l’organizzazione delle law firm e soprattutto con il principio del lockstep che, di fatto, fissa un tetto inderogabile ai compensi massimi dei partner di queste strutture.
«Negli studi italiani c’era una sorta di ordinamento feudale che partiva dal signore assoluto e arrivava fino ai servi della gleba», dice Castellani. Gli inglesi, invece, con le loro strutture, la cultura associativa, «i percorsi di carriera trasparenti e legati a criteri meritocratici, proponevano un modello difficile da accettare, anche perché caratterizzato da una struttura di costi ben più elevata».
Il progetto Italia, però, non viene cancellato, ma solo accantonato. Infatti, nel 1995 se ne torna a parlare, dopo che Freshfields ha aperto in Spagna e in Germania. Lo studio chiede a Castellani di cominciare a cercare dei professionisti e gli affianca il socio Yves Huyghè de Mahenge che, in precedenza, si è occupato dello sbarco a Parigi. Oramai non ci sono più indugi anche perché Clifford Chance, unendo le forze a Grimaldi ha fatto da apripista e Allen & Overy si appresta a inaugurare i suoi uffici a Milano e Roma grazie all’alleanza stretta con gli avvocati dello studio Brosio Casati.
Freshfields, nel frattempo, ingaggia anche l’head hunter Heidrick & Struggles (in particolare a Maurizia Villa, oggi managing director per l’Italia di Korn Ferry) grazie a cui, nel 1996, si concretizza la possibilità di portare sotto l’insegna inglese la boutique Lega Colucci Albertazzi Arossa. All’apertura, 1 febbraio 1997, Freshfields ha sede in Piazza Borromeo, in quelli che sono stati gli uffici dei suoi prossimi partner italiani. Ma si tratta di una soluzione temporanea. Nel giugno dello stesso anno, i primi 25 avvocati di Freshfields in Italia si trasferiscono in via dei Giardini, dove la law firm ha sede ancora oggi. Tra i professionisti (non ancora soci) che in quell’anno entrano nello studio ci sono anche due futuri partner: Corrado Angelelli e Nicola Asti (nella foto seduto sulla destra) che dal 2015 ricopre anche il ruolo di managing partner. L’anno successivo, poi, lo studio apre a Roma. Per l’occasione, Fabrizio Arossa si trasferisce nella Capitale. Contestualmente, si unisce alla partnership il socio Raffaele Lener, anche lui destinato a guidare la sede italiana della law firm tra il 2007 e il 2009.
«Lo studio», dice Asti, «arrivò in Italia per seguire anzitutto i suoi clienti e garantire loro uno standard di assistenza analogo a quello a cui erano abituati altrove». Tant’è che la prima operazione che impone il brand Freshfields all’attenzione del mercato è…
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