Software e avvocati, relazione pericolosa?
La stagione di cooperazione tra software e avvocati sfocerà nell’età della sostituzione pressoché totale degli esseri umani da parte di algoritmi e macchine più o meno intelligenti?
di nicola di molfetta
Può esistere una data di scadenza per una professione come quella forense? È possibile immaginare che nel giro di 20 o 30 anni il mercato veda la sostanziale estinzione di una categoria come conseguenza diretta del processo di digitalizzazione dei servizi legali e totale trasformazione del mercato in chiave di servizio? Di sicuro è ipotizzabile. Almeno secondo Richard Susskind che, come leggerete nell’intervista esclusiva che ha voluto rilasciare a Mag in occasione del suo ultimo viaggio in Italia, ritiene che la stagione di cooperazione tra software e avvocati (destinata a segnare il secondo decennio di questo nuovo secolo) sfocerà nell’età della sostituzione pressoché totale degli esseri umani da parte di algoritmi e macchine più o meno intelligenti.
La questione, indubbiamente suggestiva sebbene inquietante, trova conferma anche nei dubbi che stanno assalendo chi, nell’automazione e trasformazione del “processo produttivo dei servizi legali”, ha deciso di investire arrivando poi a interrogarsi se sia o meno il caso di percorrere l’ultimo miglio.
Un avvocato, che per ragioni di riservatezza non posso citare, mi ha confessato di avere messo a punto, con l’aiuto di tecnici ovviamente, un sistema di machine learning che potenzialmente sarebbe in grado di prendere il posto di un avvocato in quasi ogni attività che questo svolge attualmente. Procedere con l’adozione di questa tecnologia ovvero con la sua diffusione sul mercato potrebbe avere un effetto devastante. E questo dubbio lo sta spingendo a gestire con estrema cautela il processo di implementazione della macchina.
Se questa preoccupazione sia esagerata o meno, al momento, non mi è possibile dirlo. Ma la questione che tutti siamo chiamati a considerare (noi giornalisti come osservatori e voi avvocati come parti in causa) è quella della prospettiva.
Qual è la cosa che più istintivamente ci porta a dire che la tecnologia si limiterà a integrare l’attività dei giuristi, ma non potrà mai sostituirla del tutto? Secondo me è il fatto che tutti siamo convinti che l’esigenza di tutela legale non possa essere soddisfatta prescindendo dall’intervento di un avvocato. Ma, se vogliamo vederla dalla prospettiva del futurologo di Oxford, questa è una conclusione arbitraria. Determinata più che altro dalla convinzione personale che non esista l’esercizio di attività legale senza il coinvolgimento di un professionista debitamente iscritto all’albo. Condivisibile?
Io preferisco la prudenza. Un mondo senza avvocati, sebbene da tanti auspicato, credo sia abbastanza impossibile da realizzarsi persino nel caso in cui le macchine che imparano riescano a diventare protagoniste ingombranti del moderno esercizio della professione.
Il punto è che la materia trattata in ambito giuridico è viva e cangiante. E le tecnologie che apprendono da informazioni e dati preesistenti non sono in grado di gestire il nuovo o l’eccezione.
Diverso è il discorso se si considera il fabbisogno di avvocati sul mercato. Ma la questione non mi sembra legata solo alla transizione tecnologica che stiamo vivendo. Da quanti decenni sentiamo dire che in Italia ci sono “troppi avvocati”?
L’evoluzione in corso, al massimo, implicherà l’accelerazione di un processo di marginalizzazione di quei professionisti che non avranno provveduto per tempo alla creazione di un ecosistema tecno-professionale adatto a gestire la domanda di efficienza nella organizzazione e fornitura dei servizi legali imposta dal mercato.
La prospettiva di un diritto ossificato, come ha giustamente sottolineato Guido Alpa, decano dei legali italiani, discutendo l’ultima fatica letteraria di Susskind, non è credibile. Così come non è credibile uno scenario distopico in cui non ci sia più spazio per il ruolo e la funzione di giuristi in carne e ossa, legali o giudici che siano.
L’impegno a guardare il tema da punti di vista nuovi deve diventare prioritario. E in questo sì, l’approccio di Susskind mi sembra fondamentale.
Noi tendiamo a giudicare le capacità di una macchina con un metro tradizionale, decidendo se siano o meno elevate solo in base al confronto che facciamo con ciò che un avvocato è in grado di fare in più o meglio rispetto a essa. Ma si tratta di un approccio fallace, per usare un termine caro al presidente della Society for computers and law. E per guardare oltre negli studi legali ci sarà sempre più bisogno di contaminazione intellettuale e professionale.
Servirà capacità di visione. Addirittura di immaginazione. Per riuscire a rifondare una professione destinata a essere completamente ridisegnata da questo processo di radicale trasformazione imposto dalla rivoluzione tech.
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