SEAT PG, LA RELAZIONE FRANCHINI NEGRO

Nella proposta di concordato preventivo depositata il 28 giugno 2013, Seat Pagine Gialle, aveva dichiarato di avere richiesto a consulenti esterni di esaminare «la condotta tenuta dagli organi sociali di Seat» tenuto conto «dell’ingentissimo indebitamento conseguente all’operazione di leveraged buy out del 2003» e «del breve lasso temporale intercorso tra la conclusione della ristrutturazione finanziaria perfezionata il 6 settembre 2012 e l’emergere nel gennaio 2013 delle difficoltà che hanno portato al deposito della domanda di concordato (6 febbraio 2013)». Il risultato di questo esame, curato dal professor Fabio Franchini e dall’avvocato Ettore Maria Negro (nella foto) con la collaborazione del dottor Paolo Agrifoglio per gli aspetti più propriamente contabili e finanziari, è stato presentato nei giorni scorsi al consiglio d'amministrazione dai suoi autori ed è al centro dell'assemblea degli azionisti convocata per il prossimo 4 marzo 2014 che, fra le altre cose, dovrà decidere se avviare un'azione di responsabilità nei confronti di ex amministratori e sindaci della società.

La relazione parte dall'analisi dell’operazione di distribuzione del dividendo di Euro 3,6 miliardi deliberata nel 2004, che ha sostanzialmente segnato negativamente l’attività della società. Quindi analizza l’acquisizione e la successiva vendita della società tedesca Wer Liefert Was? chiusa con una perdita a livello consolidato di 80 milioni. Poi approfondisce l’insorgere della crisi alla fine del 2009 e la presunta mancata adozione delle deliberazioni conseguenti e necessarie da parte degli amministratori, soffermandosi sull’aggravamento del dissesto e l'emissione di obbligazioni il 23 febbraio 2010 ed il 19 ottobre 2010.

In ultimo,  la relazione si sofferma sulla ristrutturazione del debito avviata nel 2011 e conclusasi nel settembre 2012, concludendo che di fatto «si rilevava già inefficace prima di essere approvata».
Secondo quanto ricostruiscono nella relazione gli avvocati incaricati dal cda, la ristrutturazione del debito ultimata nel settembre 2012 si basava su un piano industriale che tuttavia non poteva considerarsi attendibile. Infatti, l’analisi del portafoglio ordini evidenziava una redditività tendenziale ben inferiore a quella del piano industriale posto a base della ristrutturazione: infatti il ciclo degli ordini 2012 alla fine di luglio era già completato per il 95% circa; da ciò si sarebbe potuto desumere una redditività tendenziale a livello di EBITDA stimabile in un ordine di grandezza di 280 milioni di euro (significativamente inferiore a quello previsto nel piano industriale). Inoltre, il ciclo degli ordini 2013 ancora in itinere e completo per il solo 35% circa, prospettava un andamento inerziale del fatturato da cui si poteva desumere una redditività tendenziale a livello di EBITDA stimabile nell’ordine di grandezza di 200 milioni, ben lontano dalla stima di 342 milioni approvata dal consiglio di amministrazione il 17 gennaio 2012 e non rettificata nel luglio 2012, nell’imminenza dell’esecuzione del piano di ristrutturazione. Agendo conformemente ai propri doveri, si legge nella realzione, gli amministratori avrebbero dovuto, prima della data di esecuzione dell’operazione di ristrutturazione (6 settembre 2012), rilevare che la stessa non sarebbe stata adeguata a risanare la società. Il danno che ne è derivato è pari alla differenza tra l’ammontare del patrimonio netto (correttamente rettificato) al momento in cui essi avrebbero dovuto adottare un comportamento conforme ai propri doveri, e l’ammontare del patrimonio netto all’apertura della procedura di concordato. In ogni caso, secondo i curatori della relazione «gli amministratori dovrebbero essere considerati responsabili delle ingenti spese sostenute in occasione della predisposizione ed esecuzione del piano di ristrutturazione, pari a circa 85 milioni, e relative agli onorari corrisposti non solo ai consulenti della Seat, ma anche ai consulenti di tutte le controparti coinvolte nel processo di ristrutturazione: consulenti degli azionisti (indiretti) di maggioranza, consulenti dei creditori finanziari e amministratori di Lighthouse S.A. per una somma complessiva di circa 30 milioni, pagando inoltre Consent Fees per 26 milioni circa».

Clicca qui per leggere il testo integrale depositato dalla società sul proprio sito e su quello di Borsa Italiana.

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