Se i diritti diventano un bonus Ovvero: chi vuole rottamare la Consulta?

di nicola di molfetta

 

Siamo il popolo del “doman non v’è certezza” e a certe cose abbiamo cominciato a farci il callo. Ma l’ennesima vicenda che ha dimostrato l’inaffidabilità del nostro diritto suscita delle inquietudini tutte particolari.

 

Parliamo di pensioni e del Quarantotto scatenato dalla sentenza 70/2015 della Corte Costituzionale di cui, tra l’altro, discutiamo con l’avvocato Troiano in questo numero di Mag.

Ciò che lascia basiti, in tutta questa vicenda, è il modo in cui la pronuncia del massimo organo giuridico del Paese, quello preposto a giudicare la legittimità degli atti dello Stato, sia stata accolta dagli altri Poteri, a cominciare da quello esecutivo.

 

L’illegittimità del blocco delle perequazioni è stata dichiarata dalla Corte. E gli effetti di tale atto si sarebbero dovuti produrre all’istante. Proprio come avvenne nel 2013, quando la Consulta bocciò il comma del decreto 98/11 che aveva introdotto il contributo di solidarietà sulle superpensioni da 90mila euro in su. Cosa strana, all’epoca, quanto disposto dalla Corte Costituzionale non fu oggetto di dibattiti tra organi dello stato. Se ne parlò, come ovvio, in qualche salotto televisivo, ma le polemiche finirono prima di cominciare con la restituzione del maltolto agli aventi diritto che festeggiarono con un tuffo nelle loro piscine piene di monete d’oro.

 

Dura lex sed lex. Ma mica sempre, verrebbe da dire. Visto che stavolta, siccome la dura lex potrebbe costare alle casse dello Stato dai 10 ai 18 miliardi di euro (l’equivalente di una manovra finanziaria) il Governo è intervenuto per bloccare lo zelo dei giudici costituzionali.

 

Il diritto di milioni di cittadini, che è stato violato per ragioni contabili quando lo spettro della Troika aleggiava sul nostro Paese, potrebbe essere trasformato in un bonus. Un’una tantum. In attesa di una legge che cambi le regole in materia previdenziale una volta per tutte e rimetta le cose a posto.

 

Ora, se per il futuro si dovesse decidere di rivedere la politica pensionistica italiana, nessuno potrebbe avere nulla da dire. Ma ciò che inquieta è il fatto che per l’ennesima volta in Italia vengano cambiate le regole gioco mentre la partita è in corso. In più, questa volta, non c’è il solito scontro tra organi dello Stato, tipico della dialettica democratica, ma c’è la ribellione di uno dei poteri costituzionali contro la costituzione stessa.

 

La politica può ribellarsi al diritto costituito, violarlo e perseguire un fine che non è contemplato dalle leggi che governano un Paese? Certo che sì, altrimenti la maggior parte delle democrazie e dei regimi repubblicani di questo mondo non sarebbero mai nati. 

Ma, si consenta, in questo caso la vicenda è molto meno nobile. Si parla di quattrini. Soldi che, come spesso accade, sono stati sfilati dai portafogli in cui allo Stato veniva più facile infilare la manina. E che adesso dovrebbero essere restituiti senza indugio. Tutto a tutti.

 

Invece, il diritto a ottenere quanto illegittimamente è stato sottratto lo si vuole trasformare in un bonus. Una mancia. Cinquecento euro al posto di 1.000 o 1.500 solo ad alcuni. Mentre gli altri, che forse riescono a tirare avanti anche senza, si dovranno mettere l’anima in pace oppure armare di avvocati e tornare a far ricorsi per provare a riottenere quanto già gli è stato riconosciuto come diritto.

 

Che qualcuno a Roma abbia voglia di rottamare anche la Corte Costituzionale?

 

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