Rapporto Censis 2019 sull’avvocatura: iscritti e redditi al palo
Il quarto rapporto Censis sull’avvocatura italiana conferma l’immobilità del settore. La professione attrae poco. E i redditi non salgono. Il tasso di crescita degli iscritti all’albo, nell’ultimo anno, è stato di appena lo 0,3%. Mentre il reddito medio della categoria è cresciuto solo dello 0,5%.
Qualche nota positiva arriva dalle sottocategorie fino a oggi più penalizzate. Le donne, che nel 65,9% dei casi dichiarano una condizione di stabilità o miglioramento del business, più degli uomini che si fermano al 63,3%. E i giovani: il 42,5% degli under 40 anni ha dichiarato un incremento del fatturato nel 2018, mentre tra i più anziani la quota scende sotto il 20%.
Per i prossimi due anni il 31% degli avvocati prevede un miglioramento dell’attività, mentre il 42,1% è più prudente, prevedendo stabilità. Tra le donne il 32,7% prevede un miglioramento, contro il 29,7% degli uomini. I più ottimisti sono i più giovani, sia in termini di anzianità professionale (il 50,4% degli avvocati con meno di dieci anni di attività), sia in termini di età anagrafica (il 49,9% degli under 40 anni).
Positiva la presa di coscienza dell’importanza della sv0lta tecnologica che la professione sta cominciando a vivere. Il 62,6% non trova realistico uno scenario di progressiva sostituzione delle funzioni oggi esercitate dai professionisti da parte di algoritmi e piattaforme, ma guarda alle opportunità che possono venire dalle tecnologie digitali. Tiepidi i pareri sull’integrazione europea: il 32,1% crede che l’Unione non abbia creato un vero spazio di collaborazione tra i diversi sistemi giuridici nazionali, mentre il 27,3% insiste sulla necessità di rafforzare la condivisione degli interessi degli avvocati per far sì che ciò avvenga.
Sul piano del funzionamento degli uffici giudiziari, i temi rimangono quelli tristemente d’attualità da molti anni. Sia cittadini (61,1%) che avvocati (56,2%) concordano sulla priorità assoluta, che è ridurre i tempi dei processi, tramite una riorganizzazione generale del sistema. Quest’ultimo, inoltre, giudicato troppo indulgente, soprattutto con ricchi, politici e corrotti. Il quadro generale delle garanzie dell’imputato è ritenuto eccessivamente indulgente dal 57,6% degli italiani. Solo il 28,6% lo considera giusto e appena il 4,7% troppo punitivo. Ma la percezione dell’eccessiva indulgenza sale all’82% quando a essere coinvolto in un processo è un politico o un amministratore corrotto. Tale disparità di trattamento è alla base, secondo il 25% dei cittadini, del crescente rancore sociale del Paese. Le cause che si attestano su percentuali minori sono la diseguaglianza nei redditi e nelle opportunità di lavoro (23,7%), la burocrazia inefficiente e costosa (18,4%), l’ingresso incontrollato di stranieri all’interno dei confini nazionali (15,5%), la perdita di sovranità nei confronti dell’Unione europea (5,5%).
Più del 70% degli italiani chiede poi maggiore severità contro stupratori e pedofili, molestatori e rapinatori, mentre mediamente solo il 30% ritiene giusto il trattamento riservato a chi delinque. Al contrario, il 40,9% giudica troppo punitivo il trattamento nei confronti di chi eccede nella legittima difesa, e solo il 16,4% considera severo il trattamento nei riguardi degli immigrati irregolari.
Sempre nell’ambito dei problemi del sistema giudiziario, peraltro, si registrano le paure degli italiani. Il 57,4% indica di temere di incorrere in errori giudiziari, il 42% di poter essere coinvolto in un’indagine pur essendo totalmente estraneo ai fatti. Un terzo degli italiani sottolinea la possibilità di essere intercettato e il 20,5% la diffusione sui media di materiali riservati durante le indagini.