Pavia e Ansaldo vara il suo primo cda

di nicola di molfetta

Sessanta anni di storia. Pavia e Ansaldo è un’istituzione del mercato dei servizi legali italiano. Circa 130 professionisti. Trentacinque soci. Una forte proiezione internazionale. E la necessità di rinnovarsi per gettare le basi del proprio futuro. I lunghi mesi della pandemia di Covid-19 sono serviti anche a questo. A riflettere su sé stessi. E a decidere come organizzare al meglio la struttura.
«Siamo usciti da questi momenti di incertezza, trasformando governance e ripartizione utili», dice a MAG l’avvocato Stefano Bianchi, appena riconfermato managing partner dello studio. 

L’avvocato va dritto al punto. Il domani si costruisce a partire dalle regole interne di convivenza e collaborazione. 
Facile a dirsi. Sicuramente, meno a farsi.
Perché queste regole, come vedremo, sono la premessa necessaria per mettere assieme una squadra che sia sempre all’altezza della storia dello studio oltre che per adeguare l’organizzazione agli obiettivi di efficienza che il mercato persegue. Perché darsi nuove regole mette in discussione privilegi e rendite di posizione. E soprattutto intacca o, se preferite, stravolge il moloch del “si è sempre fatto così” che spesso è il virus più pericoloso che può contagiare un’organizzazione legale con tanti anni di attività alle spalle.  

Lo spirito con cui questo percorso è stato compiuto lo spiega bene il socio Mario Di Giulio: «Abbiamo lavorato a una riforma che consentisse al “Dna Pavia e Ansaldo” di evolvere. Perché se non c’è evoluzione, con il passare degli anni, si diventa solo vecchi. E si è costretti all’estinzione».
Il primo tratto distintivo della riforma varata da Pavia e Ansaldo e che MAG è in grado di illustrare in anteprima, è rappresentato dallo dalla collegialità della gestione.

Bianchi, Di Giulio, assieme a Meritxell Roca OrtegaMarco Giustiniani e Vittorio Loi sono i cinque membri del primo consiglio d’amministrazione eletto dallo studio nella sua storia sessantennale. Un organo di gestione voluto per determinare in modo definitivo il passaggio dalla “monarchia alla repubblica”.
«C’erano già stati dei cambiamenti a partire dal 2015 e iniziative per di coinvolgere più soci nella gestione dello studio – ricorda, a onor del vero, Stefano Bianchi –. Quella in vigore fino a questo momento è stata una governance “di transizione”, incentrata su un managing partner e sei comitati a presidio di altrettante funzioni. Ed è stato un modo che ci è servito a rendere la struttura meno accentrata e di dare modo ai singoli soci di rendersi conto di cosa significhi la gestione dello studio nel suo complesso. A questi organi si aggiungeva poi la figura del senior partner che svolgeva un ruolo di garanzia».

Questo è stato un passaggio fondamentale. Passare da una struttura fortemente monocratica a una struttura di gestione ampiamente condivisa poteva essere uno choc. 
«La scelta di dar vita a un vero e proprio cda di cinque componenti – prosegue Bianchi – risponde, invece, alla volontà di avere un organo di governo collegiale formato da professionisti che hanno una…

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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