Nuovo calcio: Marelli racconta la rivoluzione del Var
di giuseppe salemme
È il pomeriggio del 19 agosto 2017. A Torino si gioca Juventus-Cagliari, prima partita del nuovo campionato di calcio di Serie A. Non è un big match. Ma trova il modo di entrare nella storia, quando sul finire del primo tempo un difensore juventino, il brasiliano Alex Sandro, interviene in ritardo sull’attaccante croato Duke Čop; il tutto in area di rigore.
L’arbitro Fabio Maresca in un primo momento non interviene. Poi, sollecitato dai suoi assistenti tramite auricolare, va a bordo campo per rivedere l’episodio su un monitor appositamente allestito. La on-field review del contrasto dura una decina di secondi. Poi l’arbitro torna in campo, soffia nel fischietto e traccia davanti a lui, con i due diti indici, la forma di un rettangolo tipicamente “televisivo”. E poi indica il dischetto del calcio di rigore.
È il primo intervento nella storia del calcio italiano del Var, acronimo di video assistant referee usato per riferirsi sia alla tecnologia in sé che all’assistente arbitrale che la gestisce.
La prima versione tangibile di quella “moviola in campo” che una parte di tifosi e addetti ai lavori aveva invocato per decenni, sostenendo che avrebbe evitato errori arbitrali e sradicato i sospetti e le dietrologie che da sempre si accompagnavano al racconto del calcio nostrano; un’altra, più conservatrice, sosteneva invece che avrebbe finito per snaturare il gioco più bello del mondo, riempiendolo di interruzioni utili solo a soddisfare una moderna smania di perfezione.
Più di sette anni sono passati da quel giorno. Chi ha avuto ragione?
(Per la cronaca: in quella partita ebbe ragione Gianluigi Buffon, che mise tutti d’accordo parando il rigore e spianando la strada alla vittoria della Juve, che poi vinse anche il sesto campionato di fila.)
IMPATTO
Un primo punto va assegnato subito ai “pessimisti”: le polemiche, le teorie del complotto e le dietrologie sul calcio non sono finite, anzi. E Luca Marelli, se non sarà un pessimista, è sicuramente tra quelli che l’avevano detto. Dopo aver arbitrato, tra il 2001 e il 2009, quasi 150 partite tra Serie C, B e A (attività che ha svolto in parallelo a quella di avvocato a Como, la sua città), nel 2016 apre Il blog di Luca Marelli. «In quel periodo c’era un buco nell’informazione sul mondo arbitrale. Così decisi di aprire un blog in cui fare un minimo di didattica sull’interpretazione del regolamento; dove peraltro rispondevo a ogni singolo utente che mi poneva domande o osservazioni» racconta a MAG. Il blog diventa presto un punto di riferimento per una community di appassionati; Marelli diventa la “Cassazione” ufficiosa del mondo arbitrale, grazie alle spiegazioni puntuali e dettagliate delle varie decisioni. Sulla scia di quell’esperienza, nel 2021 Marelli entrerà nel team dell’emittente sportiva online Dazn, in cui ancora oggi commenta gli episodi arbitrali della Serie A.
Ma già all’epoca del blog, mesi prima dell’introduzione ufficiale del Var in Italia, Marelli aveva lanciato un monito: moderate le aspettative. In un articolo intitolato Perché il Var non cambierà (quasi) nulla, Marelli scriveva: “Gli episodi che generano discussioni infinite continueranno a generare discussioni infinite, con l’aggravante della malafede”. «Più che articoli erano ragionamenti “ad alta voce”» precisa oggi l’ex arbitro. «Ma avendo già partecipato a qualche trasmissione tv, conoscevo il mondo della comunicazione: e lì la voglia di capire è sempre molto meno di quella di polemizzare». Ammette però che il titolo scelto fosse un po’ estremizzato: «Non sarà servito a eliminare le polemiche, ma il Var ha sicuramente servito il gioco. Pensiamo all’ultimo derby di Milano: se non ci fosse stato, al Milan sarebbe stato assegnato un rigore per un tocco che dal vivo era stato giudicato di braccio, e che invece era di spalla. Sarebbe stato un episodio determinante per il risultato, e se la decisione non fosse stata corretta dal Var se ne sarebbe parlato per giorni interi».
Effettivamente gli errori arbitrali, nei casi in cui il Var può intervenire (e cioè l’assegnazione di gol, calci di rigore ed espulsioni dirette, e nei casi di “scambio d’identità” del calciatore da sanzionare) sono effettivamente diminuiti: dell’86%, aveva affermato il designatore arbitrale Gianluca Rocchi nel 2022. L’anno dopo, il Var è stato ulteriormente implementato da una nuova tecnologia, che permette di rilevare il fuorigioco con una certezza quasi assoluta: il fuorigioco semi-automatico (Saot). Mentre già dal 2016 era attiva la goal line technology (Glt), che avverte l’arbitro appena il pallone supera la linea di porta.
EVOLUZIONE
Il regolamento del calcio è stato pensato (e si è evoluto negli anni) per essere applicato da un arbitro in campo, a contatto diretto con i giocatori e in tempo reale. L’introduzione di un controllo a video successivo alle singole decisioni arbitrali rappresenta in questo senso una piccola grande rivoluzione: «Oggi, in una partita di prima fascia, sono puntate sul campo più di 30 telecamere: quelle per la regia tv della Lega sono 21, a cui vanno aggiunte le 12 che fanno funzionare il Saot. Sono tantissime, e permettono di vedere praticamente tutto quello che succede in campo». Nel suo blog Marelli, in epoca pre-Var, criticava spesso l’assegnazione di quelli che definiva “rigorini”, o “rigori televisivi”, cioè quelli originati da contrasti di lieve entità; ma oggi il quadro è cambiato: «Infrazioni che vent’anni fa non si riuscivano a percepire oggi non sfuggono più. Ed è normale che vengano assegnati dei rigori su cui qualche anno fa si sorvolava».
In molti sono critici di questo nuovo “zelo sanzionatorio”. La tecnologia del fuorigioco semi-automatico, ad esempio, finisce spesso sul banco dell’imputato nonostante gli oggettivi benefici che ha portato: «Se torniamo con la mente a un qualsiasi lunedì post-gara in epoca pre-Var, ricordiamo tutti intere trasmissioni dedicate a discutere di posizioni di fuorigioco. Ora non ci sono più: grazie al Saot, il fuorigioco in questo momento è da considerare un problema risolto» afferma Marelli.
Ma le discussioni riaffiorano pronte ogni volta che un gol viene annullato per posizioni irregolari di pochi millimetri, impercettibili per gli arbitri, ma anche per tifosi e giocatori in campo. “I gol sono il bello del gioco, nonché l’obiettivo ultimo di chi gioca: non bisognerebbe creare delle condizioni di vederne annullati di meno?” si chiedono in molti.
La preoccupazione è stata fatta propria dalla stessa Fifa, che ha recentemente dichiarato di stare studiando la possibile reintroduzione, nella regola del fuorigioco, del vecchio concetto di “luce”, in base al quale sarebbe in posizione irregolare solo il giocatore interamente oltre l’ultimo difendente avversario. Ma sul punto Marelli è scettico: «Molti dimenticano che quel fuorigioco è stato in vigore fino al 2007. E che fu abolito perché totalmente impossibile da applicare: sostanzialmente all’epoca i guardalinee andavano a sensazione. E infatti gli errori erano tantissimi. Mentre con la regola attuale già in Serie C riusciamo ad avere assistenti di ottimo livello, che sbagliano molto raramente». La questione “serie inferiori”, spesso trascurata, è di fondamentale importanza: «Con il Saot, in via teorica, sarebbe anche possibile verificare se c’è “luce” tra un attaccante e un difensore. Ma le telecamere e l’infrastruttura tecnologica che ne permettono il funzionamento hanno costi troppo alti per essere sostenibili dalla Serie B in giù». E “spezzettare” il calcio applicando regole diverse a seconda della categoria non è una strada praticabile.
Come non sarebbe praticabile l’introduzione del “tempo effettivo”, pur sostenuta da molti tifosi e addetti ai lavori nell’intento di limitare perdite di tempo e trucchetti ostruzionistici da parte di panchine e giocatori. Il fatto che una partita di calcio sia fatta di due tempi da 45 minuti l’uno, in cui il cronometro non si ferma mai, è un elemento fondamentale del gioco. E il gioco, per Marelli, «funziona bene così com’è. Piuttosto che cambiarlo completamente, sono favorevole a una proposta di compromesso: applicare il tempo effettivo soltanto nei minuti di recupero, per garantire che almeno in quelli si giochi senza possibilità di perdere altro tempo».
L’ex arbitro è molto più aperto a un’altra proposta, quella del “Var a chiamata”, su modello del challenge in vigore da anni nel tennis o nella pallavolo. A ottobre la Figc ha chiesto all’Ifab, l’organismo “guardiano” del regolamento del calcio, di iniziare a sperimentarlo nei campionati giovanili e in Serie C. «È una proposta che valuto positivamente per due motivi. Il primo è che in questo momento il Var è uno strumento a disposizione esclusiva dell’arbitro, mentre a mio parere dovrebbe essere messo a disposizione del gioco: e perciò anche delle squadre, tramite i capitani o le panchine» afferma Marelli. «Il secondo è che così anche le squadre stesse, trovandosi a valutare l’opportunità di interpellare il Var o meno, si renderebbero conto di quanto è difficile arbitrare».
È vero. Ed è qualcosa che sta già succedendo.
APERTURA
«Ventidue gambe hanno loro; ventidue gambe abbiamo noi; il pallone è rotondo; la porta è quadrata; l’arbitro è cornuto» diceva Oronzo Canà ai giocatori della Longobarda in L’allenatore del pallone, film di Sergio Martino del 1984. Una battuta per dire la verità: nel calcio la figura dell’arbitro è irrinunciabile quanto lo sono pallone, porte e gambe. Per garantire l’osservanza del regolamento, certo; ma anche per avere qualcuno con cui prendersela quando le cose vanno male.
Se le novità regolamentari e tecnologiche non hanno messo fine alle polemiche arbitrali, le ha già indiscutibilmente cambiate. In primis, con l’introduzione del Var, la persona del direttore di gara ora non è più l’unico parafulmine degli istinti più beceri dei tifosi. Ma anche questi ultimi hanno dovuto fare un “salto di qualità” per stare al passo con le polemiche. Nuovi protocolli, linee guida e circolari si sono moltiplicati per regolare i nuovi strumenti; e sono nati concetti nuovi come Dogso, Spa e step-on-foot. Le norme si sono stratificate, e le dinamiche arbitrali sono diventate più complesse: passare settimane a litigare sulla posizione del corpo di un attaccante rispetto alla linea invisibile che parte dall’ultimo difensore, o sulla regolarità di un tocco a metà tra spalla e braccio, se mai fosse servito a qualcosa, è diventato d’un tratto obsoleto, insufficiente. Serviva altro, serviva di meglio. Ed è arrivato.
A settembre 2023, sei anni dopo l’introduzione del Var, debutta Open Var. Il programma (nato dalla collaborazione tra Aia, Figc, Lega Serie A e Dazn, ma le cui puntate sono disponibili gratuitamente su Youtube) ospita ogni settimana un membro della Commissione arbitri nazionale (Can) che, in dialogo con giornalisti e opinionisti sportivi, commenta e spiega le decisioni arbitrali più interessanti o controverse della giornata di campionato. Più importante, lo fa attraverso l’ascolto delle comunicazioni tra arbitro, assistenti e Var mentre quelle decisioni vengono prese: qualcosa di inedito per il calcio italiano (e non solo). «Trovo che Open Var sia stata una vera rivoluzione comunicativa: per la prima volta possiamo ascoltare le voci degli arbitri durante il processo di revisione di un qualsiasi episodio» afferma Marelli, che partecipa ogni settimana al processo di scelta degli episodi da esaminare. Per lui, che con il suo blog era stato precursore di un’analisi arbitrale “fatta bene”, è un po’ la chiusura di un cerchio: «All’epoca del blog scrivevo spesso della necessità che l’Aia si aprisse al pubblico, comunicasse: probabilmente è in quel periodo che anche i tifosi hanno iniziato ad avvertire quest’esigenza. E oggi posso dire di essere molto orgoglioso di collaborare con l’emittente che l’ha realizzata».
Insomma, quella nicchia di nerd del regolamento che gravitava intorno al suo blog oggi è cresciuta e diventata mainstream. Ma il vero segreto del successo di Open Var è nella nuova luce che getta sugli arbitri, per la prima volta giudicati per come fanno in concreto il loro difficilissimo lavoro, e non solo per la decisione finale: «Gli arbitri e gli assistenti sono i primi a essere contenti di questo scrutinio più approfondito. Perché li valorizza, fa capire che le loro scelte non sono frutto di valutazioni soggettive. Dietro ogni decisione ci sono un sacco di step da seguire: guardare le immagini, scegliere le riprese più adatte, riguardarle, capire quale norma applicare e se può essere applicata. Il tutto in un minuto, un minuto e mezzo. Viene fuori la loro grande professionalità». I commenti al video Youtube della prima puntata di Open Var sono quelli di chi ha visto per la prima volta oltre il velo di Maya: “Il dietro le quinte fa sembrare il tempo della decisione lunghissimo, ma in partita non ci accorgiamo di niente: incredibile”; “Mi è bastata una puntata per capire quanto sia complesso anche stare in sala Var, e quanto grandi siano gli arbitri nel valutare e verificare velocemente centinaia di norme applicate al campo in tempo reale”.
Dai contributi di Open Var viene fuori per la prima volta anche il lato umano dell’arbitro, con cui risulta impossibile non empatizzare almeno un po’. Ed è proprio questa componente che va valorizzata e protetta, in un’era in cui l’intelligenza artificiale sembra prendere il sopravvento su ogni ambito e attività umana. Ma Marelli, da ex arbitro, preferisce mettere un freno alle visioni tecnocratiche che vorrebbero la categoria sostituita da fantomatici algoritmi superiori e infallibili: «Non credo che l’IA abbia grandissime prospettive nel calcio. È e rimarrà un gioco di uomini e donne, sui loro gesti atletici, e sulla loro capacità di giocare con quella sfera a cui, in un modo o nell’altro, tutti noi andiamo dietro da una vita».
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