Il New Smart Normal nel lavoro: prospettive post Covid-19

di stefano miniati* e alessandro meneghin**

 

Con la fine dello stato di emergenza, quali saranno le sorti del “lavoro agile”? I datori di lavoro privati, dall’inizio della pandemia, hanno potuto implementare lo smart working in via semplificata, in via unilaterale (in assenza dell’accordo imposto dalla disciplina ordinaria) e con procedure amministrative telematiche e massive.

Al riguardo, sebbene paia probabile una proroga dello stato di emergenza, ad oggi non vi sono provvedimenti che legittimo l’utilizzo dello smart working semplificato oltre al 31 luglio.

Sorge dunque l’urgenza per i datori di lavoro, che non siano in grado di far rientrare i dipendenti in sede (o, in ogni caso, non intendano farli rientrare), di regolamentare correttamente la questione, con appositi regolamenti (o accordi sindacali, ove si decida di coinvolgere le organizzazioni sindacali), ma, soprattutto, con la stipula degli accordi individuali previsti dalla disciplina ordinaria.

L’esperienza del periodo emergenziale, tuttavia, impone di guardare ora al “lavoro agile” sotto una luce diversa, come nuovo strumento di organizzazione del lavoro, da regolamentare in relazione alle specifiche esigenze e in considerazione del know how acquisito.

L’esperienza COVID-19 ha, infatti, permesso di comprendere le tematiche di maggior rilievo di un uso massivo dello smart working, ma anche le sue potenzialità.

A riprova di ciò si registra un aumento delle imprese che stanno valutando di “dematerializzare” completamente la propria struttura, abbandonando il concetto di sede di lavoro, per passare ad uno smart working generalizzato (che coinvolga tutte le risorse e fino al 100% del tempo lavoro).

Tale approccio estremo, tuttavia, potrebbe generare criticità, potendosi dubitare che una tale estensione del “lavoro agile” sia effettivamente riconducibile nello schema della L. 81/2017, quanto piuttosto ad una più stringente ipotesi di “telelavoro”.

Ed è proprio su questo fraintendimento che, nei prossimi mesi, bisognerà lavorare.

Molte aziende, nel regime emergenziale e non solo, hanno introdotto progetti di “lavoro agile” facendo formalmente riferimento alla disciplina dello smart working, ma, di fatto, regolamentandoli applicando le regole del “telelavoro”.

Si pensi a tutti quegli accordi e regolamenti che prevedono:

  • un preciso orario di lavoro;
  • limiti alla scelta del luogo ove svolgere la prestazione;
  • la possibilità di remunerare il lavoro stroardinario;
  • supporto all’acquisto di strumenti di lavoro (postazioni ergonomiche o contributi alla connessione internet).

Tali previsioni sono tipiche del “telelavoro” (alcune sono anche previste dall’accordo interconfederale in materia), mentre lo smart working, secondo lo spirito della L. 81/2017, dovrebbe distaccarsi fortemente da tale paradigma e dallo schema del lavoro subordinato comunemente inteso.

Il “lavoro agile” è, infatti, una modalità di svolgimento della prestazione in cui non solo non dovrebbe essere individuato uno specifico luogo di lavoro, ma neppure un preciso orario.

È  allora necessario che i datori di lavoro italiani e i lavoratori (e, con loro, le parti sociali) facciano uno sforzo culturale, prima ancora che organizzativo, per superare le barriere che tali parole della legge, in effetti, mettono in discussione.

Nell’introdurre lo smart working, dunque, si dovrà porre mente, con coraggio, ai seguenti spunti:

  • a chi lo smart working è applicabile: esistono mansioni smartabili e non;
  • pianificazione: finita l’emergenza, la disciplina del lavoro agile prevede lo svolgimento di una parte del rapporto in sede;
  • rientro in ufficio: la scelta del luogo ove svolgere la prestazione deve essere concessa, ma nel rispetto delle possibili esigenze aziendali di rientro in ufficio o presso il cliente;
  • abbandono dell’orario di lavoro, per un concetto più ampio di “raggiungibilità”;
  • identificazione delle misure che permettano un effettivo diritto alla disconnessione;
  • assegnazione e misurazione di attività e obiettivi: abbandono dell’equazione retribuzione/tempo per quella retribuzione/obiettivo;
  • individuazione delle condotte disciplinarmente rilevanti;
  • supporto tecnico/economico (ticket, connessione, H&S, rimborsi spese);
  • gestione della sicurezza dei dati e delle proprietà aziendali.

Ove si ritenga dunque di proseguire con lo smart working oltre l’emergenza, i tempi paiono già maturi, potendo oggi fare leva sull’esperienza accumulata durante il periodo emergenziale in cui, volenti o nolenti, gran parte dei datori di lavoro hanno dovuto fare affidamento su tale istituto.

Nell’attesa di un aggiustamento della disciplina legale e, soprattutto, di una regolamentazione della materia ad opera delle parti sociali, le disposizioni della L. 81/2017, dalle formule ampie, permettono di disegnare forme di “lavoro agile” altamente personalizzate, in relazione alle specifiche realtà aziendali.

Alla luce dell’esperienza accumulata, dunque, la scadenza de regime semplificato deve essere intesa come una rilevante opportunità per un cambio di passo organizzativo, produttivo, ma, soprattutto, culturale.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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