La Scala accelera sul legal design. Primo test sugli atti di precetto: 30 anni di innovazioni

di nicola di molfetta

Trenta anni di attività. Lo studio La Scala è una delle fucine creative più interessanti nel panorama nazionale del mercato dei servizi legali. Nel 2021, all’indomani dell’ora più buia della crisi pandemica mondiale, la società ha deciso di aprire una nuova frontiera: quella del legal design.

Giuseppe La Scala

«Quella che abbiamo portato avanti — dice Giuseppe La Scala, name partner e cofondatore di questa organizzazione professionale — è stata una sorta di attività collettiva di autocoscienza. Con l’aiuto di Federico Fontana, abbiamo cercato di affrontare il nostro vissuto, la nostra storia fino a questo momento, per andare alla radice di un problema molto diffuso nel settore e da cui non eravamo certo immuni: la banalizzazione di ciò che ogni giorno scriviamo e produciamo sul piano documentale e contrattuale». Fontana, come sanno i frequentatori più assidui di legalcommunity.it, è un giurista e linguista che insegna legal design (fra le altre) alla Scuola Holden di Alessandro Baricco a Torino. «Il livello di elaborazione editoriale della scrittura giuridica – riprende La Scala – è forse la cosa che ha fatto meno progressi nel corso degli anni. Si continuano a vedere gli “stessi” atti non solo sotto il profilo editoriale ma anche dal punto di vista contenutistico. E questo, nonostante la Cassazione e gli esponenti più avveduti del mondo giuridico abbiamo cercato di suggerire all’avvocatura di adottare nuove forme di argomentare».

L’avvocato fa riferimento a un mantra che la Suprema Corte nazionale ripete da quasi un decennio ovvero da quando in una nota sentenza (Cass. Civ., sez. II, sentenza 4 luglio 2012, n. 111991 Pres. Rovelli, Rel. Giusti) decide di sottolineare che “la particolare ampiezza degli atti certamente non pone un problema di violazione di prescrizioni formali ma non giova alla chiarezza degli atti stessi e concorre ad allontanare l’obiettivo di un processo celere che esige da parte di tutti atti sintetici, redatti con stile asciutto e sobrio”. Si tratta di un appello ripetuto molteplici volte. Una delle più recenti risale al 2019 (Cassazione civile, sezione prima, ordinanza del 2.10.2019, n. 24585). Del resto, quelli del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva sono due principi fondamentali del processo civile.

“Le parole sono importanti!”. L’invettiva di Nanni Moretti in Palombella Rossa resta attuale. Il suo “come parlaaaa!” urlato alla malcapitata giornalista che sta intervistando l’ex funzionario del PCI, Michele Apicella, potrebbe essere parafrasato in un altrettanto eclatante “come scriveeee!!!” che gli stake holder del diritto moderno rivolgono agli avvocati.

Un urlo che i professionisti di La Scala hanno deciso di ascoltare. E al quale hanno scelto di dare una risposta. «Ogni giorno – prosegue l’avvocato – noi produciamo centinaia di atti diversi. Da quelli più standardizzati a quelli più customizzati. Tutti hanno un forte contenuto sociale. Per esempio, quando facciamo gestione del credito non performing, ci rivolgiamo a dei soggetti in difficoltà non con l’obiettivo della vessazione, bensì della soluzione. Oggi però gli atti formali che servono a questo tipo di attività continuano a essere gli stessi di 30-40 anni fa. Si scrivono i precetti allo stesso modo, così come decreti ingiungivi e potrei andare avanti. È vero che poi dietro c’è un’organizzazione che tende a fare le cose in modo diverso da prima, con economie di scala, contatti telefonici e gestione proattiva della relazione, ma questo normalmente passa anche per una formalizzazione dello scritto che sia adeguata a questo scopo. E parlo della cosa più banale, del processo esecutivo. Ovviamente tutto questo vale ancor di più se ci riferiamo all’attività giudiziaria vera e propria».

Se si vuole fare la “riforma della Giustizia” in ossequio a sacrosanti principi di concretezza, sintesi e concentrazione, insiste La Scala, «anche gli atti devono puntare alla sintesi e alla concentrazione». Ecco perché il processo di autocoscienza: «Bisogna ridiscutere la propria cultura giuridica e il modo in cui la si propone. Ai giudici deve passare il messaggio che un atto scritto da noi è un atto diverso. Che il nostro studio vuole apparire diverso non solo perché ha sede in un building di un certo tipo o fa osservare un dress code di un altro, ma anche, anzi soprattutto, perché è dotato di un codice editoriale al passo coi tempi».

L’attenzione al legal design, sottolinea Christian Faggella, managing partner dello studio, componente del cda e co-responsabile del dipartimento di recupero crediti della struttura, «si inserisce in un progetto di corporate identity che si pone in maniera più accentuata in una situazione in cui il rischio dispersione all’interno di una organizzazione è maggiore. I temi dello smart working, dell’agilità o della remotizzazione portano al rischio di diversificare gli approcci. E così quando si invitano i colleghi o i collaboratori a lavorare in maniera autonoma, si rischia che quell’autonomia diventi anarchia. Quindi la corporate identity oggi non può non viaggiare anche sui binari di una ricerca stilistica e dell’individuazione di una cifra. Qui non si tratta più di sola immagine, ma si parla di sostanza».

Christian Faggella

Lo studio coltiva la cultura della frontiera. È nel suo DNA. E se ne assume ogni volta rischi e meriti. Qui la posta in gioco è alta. Essere tra le prime organizzazioni a fare qualcosa di concreto sul fronte del legal design significa tornare, ancora una volta, al centro della scena legale, proponendo un’innovazione che incide sul cuore dell’attività forense (la produzione di atti e documenti) che, con questo approccio dirompente, diventa un’azione distintiva senza precedenti, capace di rendere i suoi autori «riconoscibili e protagonisti della modernità». Si tratta di portare avanti un lavoro che, idealmente, condurrà all’elaborazione di nuovi standard comunicativi all’interno dell’industria del diritto con forme, schemi ed elaborazioni votate ai principi di efficienza ed efficacia. «Il mio sogno è che un magistrato, leggendo un mio atto, pensi “già questo ha più ragione perché si spiega meglio”, che vuol dire che fa i richiami a margine, che usa i grassetti con criterio, che cita la giurisprudenza in modo corretto…», dice La Scala.

Sogni a parte, la cosa più difficile da individuare, quando si decide di partire con un progetto di questa portata, è il primo banco di prova. Da La Scala hanno deciso di occuparsi dell’atto di precetto. «Abbiamo cominciato a ragionare su uno degli atti più semplici e comuni perché è anche uno di quelli che sono il simbolo della arretratezza editoriale di cui stiamo ragionando – prosegue La Scala -. Gli atti di precetto vengono scritti come quando c’era la carta uso bollo. Sa perché all’epoca ogni atto doveva essere di quattro pagine? Perché l’avvocato pagava il bollo per 100 lire! Non si andava mai a capo, per chiare ragioni di spazio. E non esisteva la copertina. La prima cosa che ci è venuta da pensare è stata: perché in un atto non ci deve essere la copertina?». Il modello e la logica è proprio quella di qualunque pubblicazione. La copertina, oltre a “difendere” il libro, segnala alcune informazioni essenziali su di esso: autore, titolo, editore. «Negli atti dei mandatari bancari e dei cessionari, oggi, capire da chi arriva la richiesta di riscossione richiede quasi un’indagine scientifica. Le informazioni ci sono, ovvio, ma sono sepolte tra mille altre. Quanto sarebbe tutto più semplice ed efficiente se ci fosse una copertina che indica chi è il creditore, chi è il debitore, che tipo di atto è, a quale Tribunale ci si sta rivolgendo e chi contattare nel caso in cui il destinatario dell’atto di precetto voglia provare a parlare con la sua controparte».

Il lavoro sul legal design non è partito dall’oggi al domani. «Abbiamo pianificato una fase di “evangelizzazione” – racconta La Scala – che è cominciata con un questionario diffuso all’interno e volto a fare il punto sull’immagine che lo studio dà all’esterno e sul modo in cui a detta dei professionisti che vi lavorano, questa è percepita. Si tratta di una percezione corretta? Lo studio si segnala come innovativo, moderno, differente? Abbiamo cercato di coinvolgere le persone su questo e abbiamo individuato tre azioni da cui cominciare la costruzione di questo processo di distinzione». Ovviamente si è scelto di lavorare sull’atto di precetto, ma lo studio ha deciso di mettere mano anche al sito di Iusletter e, ovviamente, alla presentazione istituzionale.

LA STRUTTURA DEL GRUPPO LA SCALA

«Gli avvocati – aggiunge La Scala – hanno sempre un po’ paura di uscire dagli schemi. E questo, talvolta, li porta ad apparire un po’ banali. Ecco, noi abbiamo deciso di provare a cambiare le cose». Attenzione, gli avvocati di La Scala non pensano di fare rocket science, ma sono consapevoli che cambiare certi standard narrativi che oggi tendono a far sembrare tutti uguali i 245mila avvocati d’Italia (o anche solo i rappresentanti della minoranza più evoluta della categoria) sia già un inizio più che utile per marcare un cambio di passo che lasci il segno. «Raccontare come si svolge il work flow, far sapere al cliente in che modo le nostre procedure sono compilant con tutte le norme del caso, vale moltissimo in termini di cambiamento degli schemi della comunicazione esterna – sottolinea Faggella -. Far sapere ai clienti come facciamo quello che facciamo ha un impatto molto più sostanziale del solo aggiornarli sull’elenco delle prestazioni che potranno ricevere rivolgendosi allo studio. Quella è una cosa che fanno tutti. In che modo la facciamo noi, invece, è un elemento distintivo». Si tratta di uno story telling inedito, che va oltre la retorica della lista della spesa e che cambia il sistema valoriale della professione dando maggiore importanza ai fatti e ridimensionando il rilievo delle etichette e dei titoli.

Tra le novità che si prestano a questa narrazione inedita da parte dello studio c’è senz’altro la costituzione di una practice multidisciplinare dedicata all’attività sul fronte Utp (unlikely to pay). Qui, è stato definito un processo in sei fasi che….

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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