Giovannelli e Associati, evoluzione di un progetto legale

di giuseppe salemme

 

Un progetto professionale che ha saputo ritagliarsi una posizione rilevante nel mercato legale attraverso una crescita rapidissima e un forte presidio in ambito corporate è quello realizzato da Giovannelli e Associati. Uno studio la cui storia è paradigmatica di come l’ingresso nel mercato e la conquista di un posizionamento di rilievo non siano una mission impossible per chi voglia dar via a un nuovo progetto professionale da boutique indipendente.

Giovannelli e associati, insegna fondata sette anni fa da Alessandro Giovannelli con i soci Matteo Delucchi, Fabrizio Scaparro e Matteo Colombari: professionisti accomunati da precedenti esperienze in studi legali internazionali e dalla voglia di indipendenza (si veda il numero 29 di MAG).
L’ambizione di rientrare nelle liste di studi eligible delle realtà internazionali che guardavano all’Italia ha trovato subito terreno fertile: la crescita è stata tale che l’attitudine corporate-only con la quale il progetto era partito è stata ben presto allargata. L’avvio della practice di proprietà intellettuale e privacy sotto la guida di Alessandra Feller, è infatti solo l’ultima di una lunga serie di aperture: al penale d’impresa e al contenzioso, ma anche al labour e al tax.

MAG, che ha seguito l’evolversi del progetto Giovannelli fin dalle prime battute, ha voluto concludere il focus sulle nuove insegne del mercato legale con una chiacchierata con Fabrizio Scaparro, partner dello studio, per fare il punto sullo stato del progetto e sugli avvenimenti degli ultimi mesi.

Partiamo dagli ultimi mesi. Il lockdown e la pandemia hanno messo alla prova le mastodontiche strutture dei grandi studi, che hanno in molti casi adottato varie misure per mettersi al riparo da eventuali scompensi finanziari. è stato così anche per voi?
L’inizio del lockdown è stato impegnativo per noi come per tutti, ma devo dire che il nostro lavoro è proseguito in maniera pressoché ininterrotta. Sia perché i mezzi e la disponibilità allo smart-working c’erano da sempre, sia perché abbiamo avuto molto lavoro anche durante il lockdown, in cui siamo riusciti a portare a termine operazioni che erano già iniziate. Quindi non abbiamo dovuto adottare alcun tipo di misure penalizzante nei confronti degli associati, dei collaboratori o dello staff: i compensi sono rimasti invariati e abbiamo effettuato normalmente tutte le revisioni annuali, basandoci sui medesimi criteri degli anni precedenti. Tutto finora è andato sorprendentemente bene, e l’outlook dell’anno è abbastanza positivo nonostante il Covid.

Eravate partiti con una politica costi ben precisa, mirata a tenere questi ultimi sotto la soglia del 30% per rimanere profittevoli e proteggere lo studio. è ancora così? Una simile politica può aver aiutato nel far fronte all’emergenza?
L’obiettivo di mantenere i costi sotto un livello di guardia in una struttura come la nostra è naturale. Ma in realtà negli ultimi anni abbiamo investito tanto sia in strutture aziendali che in real estate che in persone; e quindi quella soglia del 30% è stata superata. Comunque fortunatamente per noi un vero calo di fatturato non c’è stato. Forse la situazione è un po’ più complessa per le prospettive dei prossimi mesi: mentre l’anno scorso c’era una pipeline di operazioni molto chiara, oggi si vive un po’ di più alla giornata.

Uno dei vostri obiettivi fin dall’inizio era posizionarvi in maniera tale da riuscire ad attrarre una clientela internazionale. È anche grazie a un giro d’affari non solo domestico che siete riusciti a mantenere stabile il fatturato?
Avere una client base variegata ha sicuramente aiutato. Ma è anche questione di fortuna: tutti i nostri clienti che stavano portando avanti operazioni importanti hanno voluto portarle al termine. Col nostro contributo, certo, ma anche assumendosi un rischio in un periodo difficile per il debito bancario. La base di clienti è essenziale anche perché è al suo interno che possono nascere diverse occasioni di lavoro, non solo con fondi e società ma anche con studi stranieri che non hanno base in Italia.

Da studio focalizzato sul corporate siete passati molto velocemente ad essere uno studio multipractice. È un po’ un indizio di una certa inevitabile tendenza degli studi corporate ad abbracciare anche altre aree della vita aziendale?
Esattamente. Siamo partiti fortissimi sul corporate, che rimane comunque il nostro core business e si è sviluppato con l’ingresso di nuovi soci. Ma ci siamo presto detti che, pur senza diventare mai uno studio full service, era necessario…

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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