Bianchi: «Giurisprudenza torni ai quattro anni»

«L’Università italiana non è al passo con le esigenze delle professioni legali». A pronunciare questo j’accuse è Luigi Arturo Bianchi, giurista cresciuto alla scuola di Marchetti, name partner dello studio Gatti Pavesi Bianchi, ordinario di Diritto Commerciale alla Bocconi di Milano (cattedra ereditata da un gigante come Guido Rossi) e direttore del corso per giuristi d’impresa sempre nella stessa Università. MAG lo ha incontrato nei giorni scorsi per discutere di formazione e professione. Ma anche di accademia e mercato.
«Ci sono troppe Facoltà o corsi di laurea in Giurisprudenza, in gran parte in crisi di vocazioni, con metodi di insegnamento spesso antiquati e docenti che hanno fatto dell’insegnamento una scelta di ripiego».

Ci saranno pure delle eccezioni…
A questo quadro un po’ desolante, secondo me, fanno eccezione la LUISS, in parte la Cattolica e, soprattutto, la Bocconi.

Perché?
Quest’ultima, in particolare, non solo impartisce, unica in Italia, insegnamenti fondamentali per un professionista moderno (matematica, contabilità, economia aziendale etc.) ma prevede lo svolgimento di stage obbligatori presso studi legali e notarili, oltre che un soggiorno di studio all’estero “in scambio”.

Cosa c’è da fare ancora? Proviamo indicare tre priorità fondamentali…

Personalmente, ritengo che il corso di laurea in Giurisprudenza debba tornare alla durata di quattro anni, con maggiore flessibilità nella scelta delle materie opzionali; andrebbe poi incentivata una maggiore proattività da parte degli studenti, ad esempio con il frequente ricorso all’elaborazione di paper e documenti scritti. Inoltre, la formazione non deve né può esaurirsi nel percorso universitario. Sono inoltre convinto che debba venir generalizzato il numero chiuso, con test di accesso esclusivamente meritocratici.

Agli studenti di giurisprudenza oggi viene prospettata in maniera realistica, secondo lei, la professione forense?
Alla Bocconi sì, ma molti studenti non sono più interessati alla professione legale, neppure nella frontiera più avanzata dei grandi studi. Anche la prospettiva del notariato sta perdendo molto appeal. Resiste, soprattutto tra i laureati delle Università meridionali, il miraggio dell’ingresso nella magistratura.

Come mai?
A ben vedere, anche l’Italia sta allineandosi, come sempre con ritardo, ai modelli anglosassoni nei quali le scuole di legge sono la porta di ingresso nelle istituzioni e nelle imprese, talvolta nella politica, non necessariamente nella veste di giuristi. D’altro canto…

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