Arbitrato Internazionale: XII Annual Conference della Camera Arbitrale di Milano

Su come e in che modo i tribunali arbitrali dovrebbero fornire motivazioni a sostegno delle loro decisioni, sulle conseguenze di una motivazione formulata “male” e su quale debba essere il comportamento “corretto” di un arbitro che non è d’accordo con la decisione adottata a maggioranza dal Collegio, si è discusso a fine novembre nella XII Annual Conference organizzata dalla Camera Arbitrale di Milano, a cui hanno partecipato 120 persone provenienti da 30 Paesi. Da 12 anni l’Annual Conference è in Italia il più importante evento dedicato all’arbitrato internazionale.

Il titolo di questa edizione “Reasoning and dissenting in arbitration: the good, the bad and the ugly”, ispirato al film western di Sergio Leone e a una conferenza di Alan Redfern del 2003, ha fatto da cornice al dibattito, diviso in tre sessioni, intitolate il “Buono”, il “Brutto” e il “Cattivo”, ciascuna animata da un duello tra i relatori. Al termine dei tre duelli, in risposta a un sondaggio somministrato ai partecipanti, è emerso che per il 67% dei votanti l’opinione dissenziente di un arbitro nei confronti della decisione adottata da un Collegio arbitrale in molti casi può essere utile e migliorare la qualità e la stabilità del lodo arbitrale.

I lavori, presieduti da Stefano Azzali, direttore generale della Camera Arbitrale di Milano, e moderati da Massimo Benedettelli, partner di ArbLit e docente all’Università di Bari, hanno visto interagire noti esperti di arbitrato internazionale come Juan Fernandez-Armesto dalla Spagna, Klaus Peter Burger dalla Germania, lo svizzero Pierre Tercier e Vera Van Houtte dal Belgio, Franco Ferrari della New York University e da Londra Wendy Miles.

Stefano Azzali (nella foto), il padrone di casa, ha aperto i lavori con un riferimento all’attenzione che il legislatore italiano sta dedicando agli strumenti di ADR, a seguito della recente approvazione della legge delega di riforma del processo civile, che ha previsto novità in materia di arbitrato. Massimo Benedettelli, nell’introdurre il tema sulle motivazioni delle decisioni, ha ricordato come in passato queste non avessero il ruolo che viene loro attribuito oggi; inoltre, non tutti i sistemi giuridici riconoscono alla motivazione la stessa importanza che gli operatori di civil law sono soliti assegnare (si veda la prassi della American Arbitration Association). Ha concluso sostenendo che un buon arbitro non possa, tuttavia, esimersi dall’inserire le motivazioni nella decisione finale, anche perché danno legittimazione al processo, mostrano i punti di forza o di debolezza della decisione e assurgono da spunto per pronunce future.

Nel 1^ duello, “Il Buono”, Klaus Peter Berger e Juan Fernandez-Armesto si sono interrogati su chi siano i destinatari delle motivazioni: in primis, la parte che esce sconfitta dalla disputa. Spesso, inoltre, scrivere le motivazioni è un requisito richiesto dalle Istituzioni che amministrano il procedimento. La Camera Arbitrale di Milano, ad esempio, all’interno del Regolamento, esplicita l’obbligo per il Tribunale Arbitrale di inserire le motivazioni a supporto del dispositivo. Queste sono indispensabili anche agli arbitri per capire se la ratio decidendi non sia incomprensibile (e quindi come non data), ma coerente e logica. Non esiste un metodo universale per redigere le motivazioni, ma tra i requisiti minimi da rispettare è che esse non siano contraddittorie e che prendano in considerazione tutto ciò che è stato elaborato dalle parti. Una motivazione ben scritta è fondamentale per passare al vaglio sulla legittimità del lodo esercitato dalle Corti deputate all’impugnazione (Corte d’Appello in Italia); è fondamentale per evitare di vedersi dichiarata ineseguibile la decisione in Stati la cui legislazione è particolarmente restrittiva sul tema.

Il 2^ duello “Il Brutto” ha visto dibattere Pierre Tercier e Vera van Houtte su quali provvedimenti necessitano di essere motivati e in quali casi l’inserimento delle motivazioni possa risultare negativo o pericoloso per la tenuta e per il corretto svolgimento del procedimento. Sono state specificate le fonti sulle quali un buon Tribunale Arbitrale deve basarsi per la corretta redazione del lodo. L’arbitro deve conoscere la legge applicabile al procedimento: ci sono nazioni in cui lo stesso codice di procedura prevede esplicitamente che il lodo sia adeguatamente motivato. L’arbitro, inoltre, deve verificare quanto prescritto dal Regolamento dell’Istituzione arbitrale presso cui sta rendendo il lodo; infine, va valutato il tipo di procedimento e ciò che le parti si aspettano. Queste, che hanno nominato gli arbitri, possono infatti preferire una decisione che sia più veloce e agile, in cui quindi agli arbitri non venga richiesto di spendersi ampiamente nella redazione finale delle motivazioni. Tutto questo riguarda i procedimenti nei quali il Tribunale Arbitrale decide secondo diritto; nelle situazioni in cui il procedimento deve essere deciso ex equo et bono, secondo equità, gli arbitri saranno tenuti a motivare, forse anche più diffusamente, laddove devino dall’applicazione del diritto.

Nel 3^ duello, “Il Cattivo”, Wendy Miles e Franco Ferrari si sono sfidati sulla dissenting opinion e sul suo eventuale apporto positivo o negativo alla qualità del lodo. Per dissenting opinion si intende il disaccordo di uno o più arbitri nei confronti della decisione adottata a maggioranza dai componenti del Collegio. Diverse sono le argomentazioni contro l’inserimento dell’opinione dissenziente nel lodo: il dissenso crea inefficienza, perché causa ritardo nella decisione e costi aggiuntivi a carico delle parti. Il dissenso, inoltre, potrebbe rivelarsi pericoloso, considerato che può indebolire il lodo e lasciare spazio a possibili impugnazioni. Infine, potrebbe essere una pratica da condannare laddove venga utilizzata dall’arbitro per compiacere la parte che lo ha nominato ovvero qualora venga utilizzata per fornire argomenti alla stessa parte ai fini dell’impugnazione del lodo. A supporto della tesi contraria si afferma che un corretto utilizzo della dissenting opinion, in sede di camera di consiglio, possa permettere al Collegio di valutare in modo più approfondito le argomentazioni proposte, comprese quelle che inizialmente potevano apparire di minoranza. Proibire la dissenting opinion vorrebbe dire limitare la possibilità del co-arbitro di esprimersi liberamente e ridurre la trasparenza del processo decisionale e della decisione stessa. Quindi, un corretto ed equilibrato uso della dissenting opinion, scritta ove realmente necessaria, non può che migliorare la qualità del lodo. Per questo due terzi della platea in un sondaggio somministrato al termine dell’Annual Conference si è espresso positivamente sul suo utilizzo.

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