Cannabis light: ecco cosa ha detto davvero la Cassazione

L’atteso pronunciamento delle Sezioni unite della Cassazione sulla vendita delle infiorescenze di cannabis light è arrivato, come previsto. Si è scatenato un certo allarmismo a seguito della pubblicazione della notizia sulla sentenza (o, meglio, l’informazione provvisoria): c’è chi parla dell’immediata chiusura dei punti vendita, fioriti in grandi quantità negli ultimi anni (sono 778 in tutta Italia, come riporta il Corriere della Sera), c’è chi scrive che si perderanno migliaia di posti di lavoro. Malgrado molte importanti testate generaliste abbiano riportato la notizia in questi toni, quindi che con il dispositivo sia stata vietata in toto la vendita dei prodotti derivati da cannabis sativa L, è opportuno precisare che, al contrario, la vendita dei fiori di cannabis con un contenuto di Thc considerato “non drogante” è ancora legittima.

Nell’informazione provvisoria emessa il 30 maggio dalle sezioni unite penali della Cassazione, si esplicita, sì, che è vietata la vendita dei derivati della canapa, ma nell’ultima riga è scritto “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. E questa frase, tra tutte, è forse la più significativa, perché rimanda alla questione delle soglie di tollerabilità del del tetraidrocannabinolo (il Thc, cioè il principio psicoattivo della cannabis), considerato, nel testo unico in materia di stupefacenti (legge n. 309/1990), dello 0,5%: quindi i fiori di canapa che presentano un contenuto di Thc pari o inferiore a questa soglia non sono considerati droganti. Dal momento che i fiori già in vendita rispettano questo parametro, perché la legge n. 242/2016, volta a promuovere la filiera agroindustriale della canapa, precisa che si possono coltivare piante di canapa le cui infiorescenze producano un contenuto di Thc inferiore allo 0,6% (un’altra soglia, che rende la situazione normativa poco chiara), i prodotti già in commercio rientrano nella categoria dei “prodotti privi di efficacia drogante”.

Lo ha chiarito a Legalcommunity l’avvocato Lorenzo Simonetti, partner, insieme a Claudio Miglio, dello studio Tutela Legale Stupefacenti. “In attesa del deposito delle motivazioni, la commercializzazione dei prodotti privi di efficacia drogante è ancora possibile. Secondo la tossicologia forense e l’indirizzo univoco del diritto vivente, il prodotto con efficacia drogante è tale quando supera un livello di Thc dello 0,5%”.

Ascolta qui la spiegazione dell’avvocato Lorenzo Simonetti dello studio Tutela Legale Stupefacenti:

Per fortuna, che si sia generato un falso allarme mediatico se ne sono accorti anche alcuni imprenditori del settore. Stefano Zanda è l’amministratore delegato di My Joy (tra le più grandi aziende italiane attive nella coltivazione e nella trasformazione dei prodotti a base di canapa) e il direttore generale del Consorzio nazionale per la tutela della canapa, e, dopo aver letto le parole della Cassazione, ha posto l’accento sul fatto che nel merito siano state riportate notizie false “che possono provocare anche danni aziendali”. “Le sentenze – ha spiegato Zanda a Legalcommunity – si rispettano e non si commentano, però vanno lette dalla prima all’ultima riga. La Cassazione dispone che sia illegale la vendita di sostanze droganti, e questo è evidente da sempre in Italia. Tuttavia la legge 242/2016 permette la coltivazione di piante che non producono fiori considerati “droganti” perché provengono da semi depotenziati, in linea anche con la normativa europea. Quindi tutte le fake news che si leggono vanno a grande danno aziendale, personale e del settore intero”.

Ascolta qui il commento di Stefano Zanda, amministratore delegato di My Joy e direttore generale del Consorzio nazionale per la tutela della canapa:

Inutile allarmarsi e sancire la fine di questo business, quindi, perché con questa informazione provvisoria (bisognerà aspettare le motivazioni, che arriveranno entro circa 30 giorni, dicono gli esperti) nulla cambia rispetto al quadro normativo già esistente. Un quadro normativo, peraltro, già giudicato oscuro e incerto da avvocati e giuristi attivi nel settore, come avevamo scritto su MAG. (Puoi leggere l’articolo cliccando a questo link e scaricando gratis la tua copia di MAG)

Però, al di là delle interpretazioni mediatiche e giornalistiche sul pronunciamento della suprema corte, sembra che l’apparato giudiziario si stia mettendo sul “chi va là”. L’avvocato Giuseppe Libutti, specializzato nella materia e ha tra i suoi clienti molti player del settore, ha raccontato a Legalcommunity che la mattina dopo la pubblicazione della sentenza un suo assistito, titolare di un negozio, lo ha chiamato per informarlo che rappresentanti delle forze dell’ordine sarebbero entrati nel locale e per chiedere i documenti del titolare e del personale del negozio. Una prassi inedita motivata, tuttavia, come un semplice controllo.

Ascolta qui l’intervista all’avvocato Giuseppe Libutti:

 

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