“L’impresa riformista” di Calabrò è un modello anche per studi legali
di elisabetta barbadoro
«Nella definizione “impresa riformista” rientrano un quarto, se non un terzo, delle aziende italiane» lo ha spiegato a Legalcommunity Antonio Calabrò (nella foto), giornalista e autore del saggio “L’impresa riformista”, un’analisi del panorama produttivo italiano, dove vengono messi in luce sia gli aspetti problematici del fare impresa in Italia che le eccellenze del mondo imprenditoriale.
Un libro ricco di citazioni, dati, esempi, dove trovano spazio tanto le riflessioni di Antonio Gramsci quanto le considerazioni di Confindustria in un quadro che resta organico e coerente nell’obiettivo di fondo: ribadire che la buona impresa è possibile, oggi, solo considerando la sostenibilità della produzione sia dal punto di vista ambientale e sociale.
Altra questione fondamentale, nella riflessione di Calabrò, è il rapporto tra piccole e medie imprese e le grandi multinazionali. Nessuna concorrenza, perché non è vero che i big “schiacciano”, o sono più competitivi, delle piccole aziende. Al contrario, oggi, tutte le realtà del panorama produttivo sono inquadrate in processi di filiera, dove le pmi sono spesso fornitrici di grandi grandi gruppi o realtà più ampie. A fare da collante tra grandi e piccoli, oltre alla filiera produttiva, ci sono ricerca e innovazione: «Contrapporre grandi e piccoli – spiega Calabro a Legalcommunity – è una delle cose più superficiali che in questo momento anima il dibattito politico. Io credo che sia invece necessario lavorare sull’innovazione e i legami tra le imprese guardando moltissimo ai mercati internazionali. E incoraggiando le fusioni, naturalmente, perché significa incoraggiare la crescita. Le imprese piccole chiuse in se stesse non hanno le risorse per potere investire in ricerca e innovazione quindi rischiano di essere messe fuori dal mercato. Invece, le imprese piccole nelle filiere produttive, nei distretti e nelle catene di fornitura sono un motore importante della crescita economica».
Se le imprese riformiste, come afferma Calabrò, sono un quarto delle aziende italiane, quali sono gli esempi virtuosi? «Nel libro si citano decine di imprese – continua Calabrò -, da quelle grandi come Pirelli, Luxottica, Edison, il gruppo Humanitas, a tutta una serie di imprese piccole, come Loccioni in Umbria o Brunello Cucinelli. L’impresa riformista è una caratteristica di gran parte del tessuto industriale, quella che innova, investe, sa lavorare sulle nuove tecnologie e soprattutto ha uno sguardo internazionale, attento al cambiamento dei mercati italiani».
Un sguardo internazionale puntato sui mercati: questa caratteristica sta sconfinando oltre i terreni produttivi dell’industria per essere sempre più una linea guida anche per player dei servizi e associazioni professionali. Anche gli studi legali, che si muovono oggi con una logica diversa rispetto al passato, guardando di più al profitto e al business, cercando strategie per essere più competitivi e per massimizzare la qualità dei servizi offerti. Fusioni e acquisizioni tra studi per costituire realtà più ampie e strutturate, network internazionali e partnership con associazioni e player di servizi. Una logica di mercato che entra anche negli studi legali. «Non ci vedo niente di male – commenta Calabrò -. Credo che “piccolo è bello” sia proprio un errore, era un’ideologia da paese che ha frenato lo sviluppo economico. Piccolo non è una dimensione piccola ma il rapporto col mercato di riferimento. Non si tratta di essere piccoli o grandi, bisogna essere bravi. Per questo non c’è nulla di sbagliato nel considerarsi produttori di servizi legali, più vicini alla figura di imprenditore che a quella di professionista, l’importante è saper fare, e fare bene».