Monda lancia Tech Legal partners
di giuseppe salemme
Stefania Monda è un avvocato con doppia abilitazione, in Italia e a New York. Napoletana, ha iniziato la sua esperienza professionale come avvocato d’affari a Milano in studi come Russo De Rosa associati e Gatti Pavesi Bianchi (oggi Gatti Pavesi Bianchi Ludovici), proseguendo la sua carriera a New York dove ha lavorato per lo studio Dilendorf Khurdayan, specializzandosi nei settori dell’internazionalizzazione delle imprese e delle nuove tecnologie.
A gennaio 2021 ha dato vita a Tech Legal Partners, questo il nome del suo progetto professionale, che punta a creare tra Italia e Stati Uniti un “ponte a doppia corsia” che consenta, da un lato, alle imprese italiane di espandere il proprio business oltreoceano evitando gli inconvenienti (anche linguistici o culturali) che spesso si manifestano quando le nostre realtà entrano in contatto con le professionalità straniere e, dall’altro, agli investitori americani di individuare e realizzare investimenti profittevoli in Italia.
L’avvocato ha raccontato a MAG l’idea dietro questa realtà emergente, caratterizzata da aspetti quali la sua attitudine “tech”, evidente nel nome dello studio, e dalla volontà di crescere attraverso i talenti italiani presenti nelle varie giurisdizioni estere.
«Il progetto di Tech Legal Partners nasce dall’idea che internazionalizzare, per uno studio legale, significa essere in grado di operare in diverse giurisdizioni. La nostra caratteristica distintiva è di essere direttamente operativi, dai nostri uffici di New York e Milano, sia nella giurisdizione italiana che in quella statunitense. Per anni gli studi italiani hanno internazionalizzato aprendo dei piccoli uffici all’estero destinati a fare da “ponte unidirezionale” in grado di generare operazioni crossborder in Italia: ma si tratta, in fondo, comunque di operazioni rette dal diritto italiano. La nostra idea di internazionalizzazione invece è più simile, se vogliamo, a quella realizzata nei decenni scorsi dagli studi legali anglosassoni che hanno acquistato realtà professionali straniere, anche italiane: non solo per creare un ponte con altri Paesi, ma per essere effettivamente in grado di operare in altre giurisdizioni.»
Come è nata l’idea di adottare questo approccio?
Il progetto nasce dall’analisi del mercato delle operazioni di m&a tra gli Usa e l’Europa. Gli investitori americani guardano con sempre maggior interesse all’Europa, con il volume dell’m&a “outbound” (cioè dagli Usa verso l’Ue) raddoppiato nell’ultimo decennio e il valore medio delle operazioni addirittura triplicato; ma al contempo la percentuale di società italiane scelte come target di tali operazioni è diminuita, passando dal 2,0% allo 0,4%. Le operazioni “inbound” (ossia Ue verso Usa) sono anch’esse aumentate, sebbene in misura minore; e quelle che vedono nella veste di acquirente una società italiana sono più che quintuplicate (dallo 0,6% al 3,9%).
Quindi?
Quindi da un lato l’Italia risulta per gli investitori americani meno attrattiva del resto d’Europa, per i motivi di sempre: fiscalità, incertezza del quadro normativo, burocrazia, corruzione. Ma dall’altro le società italiane puntano sempre di più al mercato americano, in particolare nel segmento mid-market (operazioni con valore inferiore ai 250 milioni di dollari). Noi intendiamo coprire proprio questa fascia del mercato, assistendo le imprese che vogliono espandersi negli Usa, ma anche fungendo da hub di incontro tra queste ultime e gli investitori con cui lavoriamo: fondi d’investimento, venture capital, private equity, sia americani che italiani.
Il team dello studio è formato da soli professionisti italiani…
Si, ed è questo che segna la distinzione tra il nostro modello e quello degli studi legali anglosassoni che menzionavo prima. E’ una scelta funzionale al nostro obiettivo di costruire un rapporto fiduciario con i clienti. Nella mia esperienza mi sono resa conto che…
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