VIDEO – Politiche 2018, avvocati d’affari? Non pervenuti
di nicola di molfetta
Siamo agli ultimi giri di valzer della campagna elettorale per le politiche del 2018. La stampa generalista ci ha regalato, come di consueto, fiumi di inchiostro sulle risse a distanza tra gli esponenti delle diverse compagini in corsa per un posto al sole nella XVIII legislatura.
Tra le migliaia di analisi che abbiamo letto, ne manca una. E riguarda l’avvocatura d’affari.
A differenza di quanto accaduto cinque anni fa, infatti, gli esponenti di questa specifica area della professione forense sono rimasti sostanzialmente ai margini delle iniziative a sostegno delle parti in gara e soprattutto fuori dalle liste proposte dalle varie forze politiche in corsa.
Perché?
Anzitutto, stavolta non c’è stato nessun movimento in grado di catalizzare l’attenzione degli avvocati d’affari in modo massiccio. Cinque anni fa, l’iniziativa promossa da Oscar Giannino (Fare per fermare il declino) con il suo approccio turbo liberista e quella corrispondenza di amorosi sensi con l’universo confindustriale era riuscita a sollecitare l’impegno pubblico di tanti. Un impegno non necessariamente tradotto in una candidatura diretta, ma che comunque stimolò in molti il desiderio di partecipare. Al di là di Fare, poi, anche la Scelta Civica proposta da Mario Monti e il rinnovamento teorizzato dal PD lettiano (sebbene già venato di renzismo) erano stati capaci di attirare e coinvolgere nella battaglia politica esponenti di rilievo della business law. Tra questi, l’unico a essere rimasto in pista anche per queste elezioni sembrerebbe essere Andrea Mazziotti di Celso, socio di Lombardi Segni oggi passato al movimento Più Europa di Emma Bonino, realtà che vede schierati nelle proprie fila anche Simona Viola e un altro giurista vicino al mondo dell’avvocatura d’affari, sebbene con un pedigree più accademico: Alberto Alemanno.
Per il resto, nulla o poco più. Almeno così sembra. Il livello del dibattito di questa campagna elettorale è stato generalmente così deludente che, lo ammettiamo non senza un po’ di vergogna, non ci ha spinti a seguirla più di tanto. Se poi a questo si aggiunge che le professioni sono state (assieme a tantissimi altri argomenti) ignorate dai dibattiti, monopolizzati invece dalla questione fiscal/reddituale e dell’immigrazione, si capisce come mai sulle nostre pagine si sia parlato davvero poco di queste elezioni.
C’è poi un’altra questione che potrebbe avere influito sul ridotto impegno dell’avvocatura d’affari durante quest’ultima campagna elettorale. La ripresa del mercato.
Gli ultimi tre anni della XVII legislatura sono stati graziati dalla crisi che invece aveva pesantemente condizionato il settore tra il 2010 e il 2013. Il ritorno delle operazioni e dei mandati ha risucchiato nelle stanze dei loro studi tanti professionisti che cinque anni prima avevano deciso di cogliere l’opportunità del rallentamento dell’economia per fare la propria parte e mettersi a servizio di un Paese disperatamente bisognoso di una classe dirigente di alto livello.
E questa, forse, è la nota dolente. Perché se da un lato è vero che la ripresa ha riportato a pieni giri l’attività delle più importanti organizzazioni professionali attive in Italia, dall’altro è anche vero che il Paese ha ancora un profondo bisogno di rinnovamento nelle fila di chi è chiamato a governarlo. La presenza di tanti esponenti dell’avvocatura d’affari nelle liste di cinque anni fa aveva rappresentato anche la speranza che nelle stanze della politica entrassero profili di alto livello, nuovi, disinteressati rispetto al potere politico fine a se stesso e capaci di contribuire all’evoluzione e alla crescita del Paese portando aria di rinnovamento e consapevolezza internazionale nell’agenda della Res Publica.
Questa speranza, purtroppo, non l’abbiamo respirata nel corso della campagna elettorale che va a chiudersi e che molto difficilmente consegnerà all’Italia un governo in grado di fare il proprio mestiere.
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