Quando la legge ferma l’innovazione. Video Editoriale – Legalcommunity n. 315

Il dibattito sulla riforma dell’ordinamento forense non si ferma. Il disegno di legge delega, approvato dal Consiglio dei Ministri lo scorso settembre, sta dividendo profondamente la categoria. Dopo le critiche dell’Aigi – che ha denunciato l’ennesima esclusione dei giuristi d’impresa – è arrivata la voce di Giovanni Lega, presidente di ASLA, l’associazione che riunisce gli studi legali associati italiani.

Questi interventi, a vario titolo, mettono in guardia contro una riforma che rischia di guardare al passato, anziché al futuro.
Una riforma che non coglie la trasformazione in atto nel mercato legale.

QUELACHE ESEMPIO?

Il primo nodo riguarda la definizione delle attività “esclusive” dell’avvocato, limitate a quelle connesse alla sede giudiziale. Di fatto una ripetizione non necessaria. 
Ma oggi gran parte del lavoro degli studi riguarda operazioni complesse: fusioni e acquisizioni, grandi progetti infrastrutturali, finanziamenti. Lasciare tutto questo fuori dal perimetro della professione… significa ignorare come il diritto si esercita davvero, ogni giorno.

Ancora più delicata è la questione delle società tra avvocati, le cosiddette STA.
Il nuovo testo impone che i professionisti detengano non solo i due terzi del capitale e dei diritti di voto, ma anche dei diritti agli utili. Una misura che, secondo molti, riduce l’attrattività del mercato legale italiano per eventuali investitori.

E qui veniamo al vero punto critico della norma. Il disegno di legge vieta a una STA di prestare assistenza a un socio non professionista o a soggetti a lui collegati.

Un divieto che sembra tecnico, ma che in realtà colpisce al cuore l’innovazione perché blocca le iniziative fondate con investitori esterni (banche, assicurazioni, ecc.).
Significa frenare l’evoluzione imprenditoriale del settore in Italia.
Significa, inoltre, dire no alla collaborazione tra competenze diverse — quella collaborazione che oggi è alla base di qualsiasi modello competitivo, sostenibile, moderno.

 “La riforma ignora le dinamiche globali”, dicono gli studi associati. Eppure, come ricorda il Censis, solo le strutture organizzate e aperte al cambiamento possono garantire sostenibilità e competitività all’avvocatura del futuro.

Un futuro che, oggi più che mai, rischia di restare… chiuso in un passato che non esiste più.

Andrea Cardinale

SHARE