Vent’anni di 231, evoluzione di una normativa che ha cambiato il diritto penale

di Guido Stampanoni Bassi

Si appresta a compiere 20 anni uno dei provvedimenti legislativi che più di altri hanno rivoluzionato – è proprio il caso di dirlo – il diritto penale degli ultimi decenni: il D. Lgs. 231/2001, avente ad oggetto la responsabilità amministrativa da reato degli enti, con il quale il Legislatore, prendendo atto dello sviluppo di vere e proprie forme di “criminalità d’impresa” (e non solo del singolo), ha superato il tabù “societas delinquere non potest”.

Nato con un ambito di applicazione ridotto a pochi delitti dolosi, il D. Lgs. 231/2001 ha visto negli anni aumentare significativamente le fattispecie di reato in grado di determinare una responsabilità delle società e l’elenco dei “reati presupposto” comprende oggi una pluralità di fattispecie: dai reati societari ai reati contro l’ambiente, dai reati informatici ai reati contro la pubblica amministrazione, dagli infortuni sul lavoro agli abusi di mercato. Si pensi, poi, alla recentissima introduzione – da tempo invocata – dei reati tributari nonché alla presenza di fattispecie, quale quella associativa, potenzialmente in grado di estendere la responsabilità dell’ente a qualunque fattispecie di reato, anche “fuori catalogo”.

LA SVOLTA MODERNIZZATRICE
Tra i meriti riconosciuti al D. Lgs. 231/2001 vi è senz’altro quello di aver dato il via ad una “svolta modernizzatrice” stimolando l’attenzione da parte delle aziende alla adozione e attuazione di un efficace sistema di compliance interna, favorendo un generale processo di ammodernamento aziendale utile, oltre che alla stessa operatività in termini di raggiungimento degli obiettivi, alla prevenzione di reati da parte dei propri apicali e dipendenti.

Con il passare degli anni, le aziende – soprattutto quelle di dimensioni medio-grandi e le multinazionali – hanno preso sempre maggior consapevolezza dell’utilità della implementazione di un modello organizzativo; si pensi a quanto emerge dall’indagine condotta da Confindustria nel 2017 secondo cui tutte le imprese di grandi dimensioni prese in considerazione (con oltre 250 dipendenti o fatturato superiore ai 250 milioni di euro) si erano dotate di un modello 231 e che solo il 12% delle imprese considerate riteneva l’adozione di un modello poco utile per prevenire la commissione di reati.

LA CONCRETA APPLICAZIONE
Al tempo stesso, è opinione diffusa quella secondo cui, nei suoi primi venti anni di vita, il D. Lgs. 231/2001 non abbia raggiunto risultati entusiasmanti in termini di concreta applicazione, smentendo coloro i quali pronosticavano che la responsabilità degli enti sarebbe diventato un «problema di quotidiana amministrazione della giustizia».

Basti pensare alla scarsa applicazione giudiziale della normativa, testimoniata dal fatto che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano – senz’altro una delle più sensibili sul punto – nel 2017 abbia registrato solo 29 iscrizioni di enti (-37% rispetto al 2016 e -23,7% rispetto al 2015) con uno spread tra i reati presupposto e le iscrizioni dell’ente pari all’85% nel 2016. 

Con riferimento a questa tendenza…

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