“Dove va la Lex Machine?”, il webinar sull’innovazione nel settore legale

Il complesso equilibrio tra l’apporto umano e il supporto tecnologico nell’evoluzione della professione legale, declinabile anche nel rapporto tra competenza ed efficienza. La reazione delle law firm alle due grandi sfide contemporanee: da un lato, la direzione low cost presa in generale dal mercato, con la richiesta da parte dei clienti di rapidità a costi minori; dall’altro l’affermazione dell’Intelligenza Artificiale che affida a software e algoritmi almeno una parte dell’attività.

Sono i temi trattati lunedì 27 aprile dal webinar “Innovazione e settore legale. Dove va la Lex Machine?” organizzato dallo studio di comunicazione The Skill . Un panel di avvocati, giuristi d’impresa e giornalisti specializzati – moderato da Andrea Camaiora, Ceo di The Skill – ha analizzato il presente e il futuro prossimo dell’avvocatura sulla base di due parole chiave: innovazione e tecnologia. L’evento ha tratto spunto dal saggio “Lex Machine” di Nicola Di Molfetta, direttore delle testate di Legalcommunity, che gode da anni di un osservatorio attento sull’universo delle professioni legali. “Il mestiere dell’avvocato è antico e nobile, legato nell’immaginario collettivo al maestro del diritto, a un professionista arguto e brillante che con un colpo d’ala o un marchingegno giuridico fa prevalere la propria tesi – ha premesso Federica Fantozzi, responsabile Comunicazione Legale di The Skill – Ma questa visione è stata in buona parte travolta dai cambiamenti dell’ultimo decennio, e oggi dall’emergenza coronavirus”.

Licia Garotti, partner e responsabile del dipartimento innovazione tecnologica dello studio Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners, ha messo in luce la necessità di preparazione per beneficiare della tecnologia: “L’IA è un enorme vantaggio, i software fanno risparmiare tempo. Ma c’è una questione culturale: i 250mila avvocati italiani non sono tutti uguali”. Giuseppe Fornari, penalista d’impresa alla guida dell’omonimo studio composto da molti giovani, ha sottolineato la “summa divisio” tra la consulenza, che consente molto spazio all’uso di algoritmi, e invece il processo penale che si svolge in aula. “La sacralità di alcuni luoghi non è sostituibile, penso alla potenza dell’immagine di Mattarella all’Altare della Patria. Alcuni aspetti del rito non sono forma bensì sostanza. Come posso capire da remoto se i giudici sono interessati alla mia arringa o no?”.

Lucia Montecamozzo, office partner della sede milanese di Fantozzi & Associati, è andata controcorrente: “Nel diritto tributario giurisprudenza ondivaga e norme indeterminate rendono difficile per il contribuente usare l’IA. Trovo ingiusti molti accertamenti presuntivi come il redditometro e temo la creazione di un “boia cibernetico” se l’Agenzia delle Entrate scatenerà un algorismo accertatore…”. Per l’avvocato, le banche dati del Fisco dovrebbero essere accessibili anche ai legali del contribuente. Ma gli studi dovranno dotarsi di figure professionali capaci di analizzarle. Antonio Bana, avvocato esperto di tutela della proprietà intellettuale e industriale, ha condiviso i timori per la smaterializzazione del processo penale: “Nel controesame perderemmo chiarezza, tempestività, emotività”. Va invece “alzata la cybersecurity con procedure gestionali e protocolli aziendali contro il crimine informatico”. Concorda Fabio Pinelli, dell’omonimo studio, sui pericoli di un processo penale a distanza. E con la Fondazione Leonardo, di cui è membro, c’è in cantiere uno statuto etico-giuridico dell’IA per valutarne l’impatto sull’ordinamento: “Punto di partenza è l’umanesimo digitale – ha detto l’avvocato – la tecnologia deve essere al servizio dell’uomo, va imbrigliata. In teoria l’IA può minare il principio della responsabilità umana se le macchine acquistano capacità auto-decisionale”.

Luca Bolognini, fondatore di ICT Legal Consulting e presidente Istituto Privacy, considera la tecnologia nel proprio Dna: “Abbiamo in studio informatici e ingegneri che si occupano di sicurezza dati. Gli studi saranno sempre più multidisciplinari e informatizzati, ma l’IA non estrometterà le competenze personali. E dovremo abituarci a clienti e controparti sempre meno umani…”.

Francesco Bruno, partner di Pavia & Ansaldo e professore ordinario di diritto ambientale, ha notato come nell’emergenza coronavirus gli strumenti della sicurezza ambientale per le imprese – come il principio di precauzione – non sono cambiati. “Non c’è innovazione giuridica. Le aziende dovranno attrezzarsi con la formazione contro futuri “cigni neri” (cioè, eventi imprevisti di grande portata) che impattino sul loro sviluppo. E l’automazione è strumento che i giuristi non possono ignorare”. Cosimo Pacciolla, manager consulenza legale e contenzioso di Q8, ha ribadito l’importanza della tecnologia per la prevenzione di rischi di corruzione o frode. Ma si è detto preoccupato per la “commoditizzazione” dei prodotti legali evocando la proposta dal mondo anglosassone di un “automatic contract”: “Noi clienti vogliamo prodotti più veloci e meno costosi o il valore aggiunto della qualità?”. Giorgio Martellino, general counsel di Avio, ha rilevato come la fase della pandemia stia facendo cadere molti tabù, tra cui lo smart working per gli imprenditori, o i webinar al posto dei convegni. “Il moderno giurista d’impresa non può più conoscere solo il settore legale – ha sostenuto il manager – ma deve interfacciarsi con altre funzioni. Oggi l’advice copre aspetti organizzativi, di compliance, giuslavoristici”.

Maddalena Valli, esperta di diritto delle nuove tecnologie di Legalitax, ha portato l’esempio del settore molto tecnico della GDO e del retail: “L’avvocato deve parlare la stessa lingua del cliente, altrimenti diventa “bloccante”. Fondamentale, quindi, la formazione”. Carlo Scarpa, alla guida della sede padovana di Tonucci & Partners, ha affrontato il tema della riorganizzazione interna di molti studi: “Siamo artigiani o industriali? In Italia ancora per lo più artigiani che si avvalgono di software. Bisogna innovare il modello di business e la struttura. Valutiamo di trasformarci in Spa, passando da professionisti della conoscenza a imprenditori, che un po’ siamo già”.

A concludere la mattinata è stato Nicola Di Molfetta, più volte chiamato in causa dai relatori per i temi del suo libro: “La competenza deve rimanere il fulcro, l’efficienza aggiunge valore alle prestazioni, ma nessun in-house farebbe a cambio. Quanto al processo penale, bisogna decidere se il tribunale è un luogo o un servizio. Attenzione agli scenari distopici ipotizzati nel tributario. La tecnologia non deve fagocitare le persone”. Suggestivo, al riguardo, l’aneddoto di una law firm statunitense che chiedeva agli omologhi italiani una due diligence sulla base di un software Usa: “Gli avvocati italiani non l’avevano. Gli americani non hanno receduto dal contratto ma hanno replicato: fate come volete, noi vi pagheremo comunque quell’attività 4 dollari ad atto”. Insomma, la tecnologia logora chi non ce l’ha.

redazione@lcpublishinggroup.it

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