UNA RIFORMA CHE NON RIFORMA

di Mario Scofferi*

Dopo 72 giorni di negoziazioni con le parti sociali ha finalmente visto la luce il DDL di «riforma» del mercato del lavoro, il cui fine precipuo è quello di adeguare l’Italia agli standard giuslavoristici europei per attrarre investimenti. Leggendo il documento diffuso, l’obiettivo sembra centrato solamente a metà. Ê infatti più agevole l’accesso al mercato del lavoro soprattutto, a mio parere, con l’intervento sul contratto a termine, reso acausale quanto alla prima stipulazione per un tempo massimo di circa 8 mesi (i.e. massimo 6 mesi di durata iniziale più 50 giorni di prosecuzione tollerata) nonché, in misura ridotta, con l’ulteriore incentivazione del contratto di apprendistato (rispetto al quale sono state ridotte le percentuali di apprendisti da stabilizzare per inserirne nuovi). Ê vero che il ricorso al contratto a termine è reso più oneroso per il datore di lavoro ma, è anche vero, il maggior onere sembra complessivamente poca cosa rispetto all’azzeramento delle criticità da sempre connesse a tale istituto.

La situazione è invece, se possibile, peggiorata per quanto riguarda la flessibilità in uscita. In luogo di una disciplina che, dopo oltre 40 anni di interpretazioni, poteva tutto sommato dirsi certa, la riforma propone una rivisitazione che ha l’unica caratteristica di introdurre amplissimi margini discrezionali del Giudice e, di conseguenza, una sostanziale imponderabilità dei rischi connessi ad un licenziamento. Il DDL propone inoltre adempimenti formali (si pensi a quanto previsto in tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo) che, nella migliore delle ipotesi, comporteranno la prosecuzione del rapporto per molti mesi da quando il datore di lavoro ha deciso di ridurre il numero delle proprie risorse. Oltre ad introdurre un «rito speciale» che sembra principalmente diretto a comprimere il più possibile il diritto di difesa del datore di lavoro. L’auspicio, ad opinione di chi scrive, è che nella redazione del provvedimento definitivo Governo e Parlamento tengano a mente il fine ultimo per cui si è iniziato a ridiscutere la disciplina del mercato del lavoro, ricordando che un Paese che ha norme incerte è un Paese che ha norme ingiuste, certamente non in grado di attrarre gli investimenti di chicchessia.

*Partner di Giglio Scofferi

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