UFFICIO DEL PROCESSO, STORIA DI UNA TELENOVELA EVITABILE
di giuseppe salemme
Un regista d’esperienza come Ridley Scott (tra i suoi lavori figura Blade Runner, uno dei film con la storia produttiva più complessa da quando esiste il cinema) ha spiegato qualche anno fa come faccia oggi ad assicurarsi che il processo di lavorazione dei suoi film fili sempre liscio, al riparo da drammi o intoppi. Dice Scott: “Individua e tieni d’occhio il problema quando fa capolino da dietro l’orizzonte. E risolvilo prima che si avvicini a te”.
La discussa questione relativa all’incompatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’assunzione dell’incarico presso l’Ufficio per il processo (Upp) ha fornito alle istituzioni italiane l’occasione per sperimentare un modus operandi se possibile esattamente opposto a quello consigliato dal regista britannico. Un problema facilmente risolvibile è stato dapprima ignorato; poi deliberatamente ed espressamente confermato. Fino a costringere, dopo le levate di scudi resesi per forza di cose obbligatorie, alla proverbiale toppa dell’ultimo minuto.
Insomma, invece di fare il film che andava fatto in tutta tranquillità, si è finiti per dar vita, una puntata dopo l’altra, ad una telenovela. Ma ricapitoliamo con ordine quanto avvenuto negli ultimi mesi.
LA VICENDA
2,3 miliardi di euro. È la somma stanziata dal governo italiano nell’ambito del Pnrr per il potenziamento dell’Ufficio per il processo: l’investimento più corposo di tutti quelli dedicati a efficientare e velocizzare il funzionamento delle corti italiane. Per un programma di assunzioni a tempo determinato (3 anni) che dovrebbe riguardare complessivamente 16.500 laureati. I primi 8mila sono entrati in servizio a partire dal 14 febbraio: dovranno assistere i magistrati nello “studio della controversia e della giurisprudenza pertinente” e nel “predisporre le bozze di provvedimenti” oltre a “collaborare alla raccolta della prova dichiarativa nel processo civile”.
Per quanto l’accesso al concorso fosse garantito anche a laureati in economia e scienze politiche, il concorso ha riscosso ovviamente il maggior successo tra i laureati in legge e in particolare tra gli avvocati. Il decreto-legge n.80 del giugno 2021, che bandiva il concorso per la prima tranche di assunzioni, taceva tuttavia sulla compatibilità dell’incarico presso l’Upp con la professione di avvocato. Che la legge professionale forense sancisce come incompatibile con “qualsiasi attività di lavoro subordinato” (art.18, lettera d, legge 247/2012), nell’ottica di salvaguardare la piena autonomia, indipendenza ed efficienza di una figura centrale nel funzionamento della macchina della giustizia.

Si era subito levato qualche dubbio. Come ha raccontato a Legalcommunity Vinicio Nardo, presidente del’Ordine degli avvocati di Milano, «ci erano giunte richieste di pareri sulla compatibilità tra l’avvocatura e l’incarico all’Upp. Sulla base di quanto dispone la legge professionale forense sul lavoro subordinato, stavamo per dare parere di incompatibilità. Ma ci siamo dovuti fermare nel momento in cui il ministro Brunetta ha scritto l’articolo che la escludeva espressamente».
Già, perché a novembre è intervenuto sulla questione, un po’ a sorpresa, un nuovo decreto legge (n.152/2021), il quale dichiarava che ai professionisti assunti presso l’Upp “non è richiesta la cancellazione dall’albo, collegio o ordine professionale di appartenenza e l’eventuale assunzione non determina in nessun caso la cancellazione d’ufficio”.
Un atto avente forza di legge formalmente capace di costituire una valida eccezione al principio di incompatibilità sancito dalla legge professionale forense: a parità di gerarchia, infatti, la legge posteriore e più specifica deroga a quella anteriore e di portata generale.
Con il senno di poi, possiamo dire che si è trattato di una “soluzione” meramente formale a un problema sostanziale: se il regime d’incompatibilità di altre attività con l’avvocatura serve effettivamente a garantire la piena esplicazione del ruolo dell’avvocato nel nostro ordinamento, non è certo con una semplice deroga che si può liquidare la questione.
LA PRESA DI POSIZIONE DEL CNF

Le proteste, difatti, non si sono fatte attendere. La più autorevole e rumorosa è stata quella del Consiglio nazionale forense, che con una delibera del 25 gennaio firmata dalla presidente Maria Masi ha invitato il governo ad intervenire per scongiurare ogni rischio di conflitto di interesse. Due le alternative prospettate dal Cnf per risolvere la questione: da un lato che il reclutamento nell’Upp “integri una causa necessaria di sospensione dall’esercizio della professione”; dall’altro la strada, per certi versi più soft, di un’incompatibilità territoriale volta ad “impedire che lo stesso professionista possa operare nel medesimo circondario in cui è addetto all’ufficio del processo”. Nello stesso documento, peraltro, il Cnf pone anche alcune problematiche di tipo previdenziale: l’avvocato in servizio presso l’Upp dovrebbe rimanere iscritto alla Cassa forense? Chi verserebbe i contributi in assenza di compensi derivanti dall’esercizio della privata professione? Data la natura temporanea dell’incarico presso l’Udp, a chi spetterebbe pagare gli “oneri di ricongiunzione” in caso di cancellazione del professionista dall’albo e successiva reiscrizione? Non proprio questioni di poco conto.
LE ALTRE VOCI

Poco dopo il Cnf, anche l’Associazione italiana dei giovani avvocati – Aiga, si è espressa auspicando un intervento politico volto a sospendere l’esercizio della professione per gli avvocati entrati all’Upp, oltre che, pro futuro, di un “periodo cuscinetto” tra la fine del contratto a tempo determinato presso l’Upp e la ripresa dell’attività forense, per evitare ogni rischio di “un vero e proprio abuso di posizione dominante”. Il presidente di Aiga Francesco Perchinunno, contattato da Legalcommunity, è stato categorico: «Un lavoro subordinato, da sette ore al giorno, con orari d’ufficio, è totalmente incompatibile con l’esercizio della professione. Come è possibile, ad esempio, partecipare alle udienze se la mattina alle 9 bisogna prendere servizio all’Upp?».
Sulla stessa linea di pensiero anche il presidente dell’Ordine di Milano Nardo: «La compatibilità tra i due ruoli potrebbe significare per noi rivedere tutti i pareri negativi che diamo ai nostri avvocati che ci chiedono la possibilità di rimanere iscritti all’Albo mentre lavorano come dipendenti in studi legali esteri». Il presidente Nardo non è però categorico sulla strada da seguire per risolvere l’empasse: «Io sono per l’incompatibilità tout-court, ma mi accontenterei anche di una incompatibilità solo circondariale, simile a quella prevista per gli avvocati che fanno i giudici onorari».
IL CONTRORDINE

Il 15 febbraio la ministra della giustizia Marta Cartabia, intervenuta alla commissione giustizia della Camera dei Deputati per il punto sulle misure del Pnrr, ha, seppur in maniera dapprima informale, accolto le richieste delle istituzioni forensi, esprimendosi in favore di una nuova modifica del testo del decreto: “L’ufficio per il processo rappresenta un impegno a tempo pieno, con stipendio pieno, quindi non compatibile con l’esercizio della professione forense. Servirà quindi un intervento normativo su questo aspetto”.
Intervento che sembra essere effettivamente arrivato: nella bozza del “decreto bollette” approvata dal Consiglio dei ministri il 18 febbraio è stata inserita infatti anche la norma per cui “l’assunzione [presso l’Upp, ndr] configura causa di incompatibilità con l’esercizio della professione forense e comporta la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per tutta la durata del rapporto di lavoro con l’amministrazione pubblica”. Per questo motivo, continua il decreto, l’avvocato e il praticante che prendono servizio presso l’Upp dovranno comunicarlo al consiglio dell’ordine di riferimento: la mancata comunicazione costituirebbe “causa ostativa alla presa di possesso nell’ufficio per il processo”.
Poche ore dopo, sul sito del ministero della Giustizia è apparsa curiosamente una nota in cui si precisa che comunque “è prevista l’immissione in servizio anche in assenza di istanza di sospensione o cancellazione dall’Albo degli avvocati”. A ben guardare si è trattato probabilmente di un atto necessario, finalizzato a non bloccare la presa di servizio dei vincitori del concorso proprio nei giorni in cui questa sta avvenendo, e comunque in attesa che la nuova norma arrivi in Gazzetta Ufficiale. Ma che rappresenta l’ultimo capitolo di una vicenda che con un po’ di accortezza si sarebbe potuta risolvere molto prima, evitando che molti avvocati vincitori del concorso prendessero servizio senza avere certezza dei loro destini.