Tarantino: «Il cambiamento? Deriva dal bisogno di futuro»
Parlare di futuro, in questo momento storico, significa parlare di cambiamento. Nelle professioni, nell’impresa, nella finanza e più in generale nella società siamo alle prese con una fase di transizione che allo stesso tempo entusiasma e spaventa.
MAG segue il dibattito sul tema dando voce, solitamente, ai protagonisti della business community.
Nel dialogo sull’evoluzione in corso, stavolta, ci è sembrato interessante conoscere la posizione di una delle istituzioni culturali più importanti del Paese: Fondazione Feltrinelli.
Quindi, proprio nei giorni in cui viene lanciata la nuova stagione delle attività, abbiamo incontrato il neo direttore Massimiliano Tarantino. Dopo la stagione “ribelle” e quella “capitale” è il momento della stagione “alternativa”.
Come è nata l’idea della serialità delle stagioni?
Tutto è cominciato nel 2017. Abbiamo inteso questo luogo come un luogo civico, pubblico, aperto, dialogico, ibrido, chiamato a giocare la propria partita nel corso del cambiamento nel quale la società è immersa. Fin dall’inizio lo abbiamo chiamato un’utopia possibile: quella di coinvolgere la cittadinanza nell’analisi delle tematiche più urgenti della nostra contemporaneità, provando a giocare in modo inclusivo la sfida della conoscenza, anche su tematiche molto articolate come l’economia, la sostenibilità e la politica.
Il punto di partenza?
Le nostre radici, ovvero la storia del 8-900, che costituisce parte del nostro patrimonio di 12 chilometri lineari di archivio. Questo enorme giacimento di esperienze, fonti, elaborazioni ed analisi, lungi dall’essere una mera conservazione, per la Fondazione rappresenta un mandato politico: essere utile per i contemporanei. Porre loro domande, sollecitarne i pensieri, produrre energie, stimolare trasformazioni.
Il passato come punto di partenza per affrontare il futuro…
Sì, la storia come veicolo critico e generativo per chi abita il presente e sente il bisogno, e il piacere, di mettere in gioco la propria dimensione di cittadinanza per un disegno collettivo. Qualunque possa essere la rilevanza del proprio contributo, economico, culturale, di azione civile. Si tratta di incentivare un rinnovato senso di responsabilità a tutti gli attori sociali, a partire dal recupero della cultura e della conoscenza come veicolo di emancipazione.
Come è stato creato il canovaccio delle prime due stagioni…
La prima è stata la stagione ribelle, dove per noi ribelle non è il rivoluzionario ma colui che reagisce all’apatia. Colui che sente il senso della responsabilità individuale e collettiva verso un processo di trasformazione che non lascia indietro nessuno e che guarda al domani senza paure. La seconda stagione, denominata capitale è stata quella del rethinking capitalism: il ripensamento di un modello che nel tempo è imploso nelle sue contraddizioni, rendendo manifesta l’esigenza di un’alternativa. Ed eccoci qui. Non poteva finire tutto in una stagione: ci siamo quindi chiesti come intitolare la stagione successiva che, in continuità con la precedente, racconta il bisogno di credere che un’alternativa è possibile.
Un’alternativa al capitalismo?
Non soltanto, non esattamente. Piuttosto, l’acquisizione dell’idea che la collettività possa incidere nella ibridazione del sistema capitalistico per determinare delle caratteristiche più virtuose, più giuste e più eque. Se Margaret Tatcher ha coniato il principio “There’s no alternative”, poi confluito nel concetto di un “capitalismo di rendita”, questo stesso principio è ora fortemente messo in discussione; dagli economisti, certo, dagli stessi nuovi capitalisti, ma anche dalla cittadinanza, dai nostri ragazzi che manifestano per il pianeta nei Fridays For Future o nel movimento Extintion Rebellion.
Quali sono i fattori che stanno incidendo maggiormente su questa stagione di cambiamento?
Il bisogno di futuro, di visione, di un progetto da una parte e le crescenti povertà dall’altra. Il primo viene espresso innanzitutto dalle giovani generazioni che ci dicono, ci urlano, che non si può non progettare futuro, soprattutto quando il presente è caratterizzato da un modello economico e sociale con contraddizioni fatali e diseguaglianze inaccettabili. Ma estenderei il bisogno di futuro anche ai disillusi, a tutti coloro che hanno perso fiducia nella politica e in una dimensione sana e costruttiva di partecipazione.
E poi c’è anche la voce del mondo produttivo…
Assolutamente sì! Le duecento aziende americane della business roundtable che invocano il business sostenibile lo fanno perché sanno che quel futuro sostenibile è la precondizione per la loro sopravvivenza in termini economici. Spinta dal basso (soprattutto giovani), spinta dell’economia e cultura della cittadinanza sono, dunque, gli elementi alla base del bisogno di costruire futuro. Che si fa con le idee, con le energie e con le economie, mettendo in atto quella che Jeoff Mulgan chiama intelligenza collettiva, la disponibilità a unire in una relazione strategica la creatività e lo spirito critico dell’essere umano e tutte le potenzialità dell’economia digitale.
Ha fatto riferimento anche alla povertà…
C’è una povertà crescente che ci impone di ripensare il capitalismo ibridandone i paradigmi con la sostenibilità sociale e ambientale. Ma c’è anche una povertà cognitiva preoccupante che contribuisce a spingere grandi fette di popolazione verso il populismo e la ricerca di cavalieri bianchi. E di qui una delle domande a noi care: come generare sviluppo sociale ed economico a partire dalla formazione? Riteniamo che sia proprio la formazione a dover rappresentare il motore di questo sviluppo.
La sensazione è che il futuro sia anche motivo di apprensione. Si accompagna con grandi incertezze. Pensi alla questione tecnologica e all’impatto che l’intelligenza artificiale potrebbe avere sul lavoro. Nessuno si sente al riparo. Persino gli avvocati d’affari…
C’è anche qui una forte polarizzazione e diseguaglianza tra chi ha i codici le competenze per interpretare e svolgere in chiave imprenditoriale la grande trasformazione della quarta rivoluzione industriale e chi vi rimane escluso o subisce la narrativa della disintermediazione assoluta da parte delle macchine, generando per se e per gli altri un sentimento di paura. Non dobbiamo mai dimenticare le grandi opportunità che l’essere umano può mettere in campo quando fa perno su creatività e conoscenza e quando coltiva lo spirito critico e esce da storytelling costruiti a uso e misura di dinamiche tutt’altro che condivisibili.
Ovvero?
Il messaggio è: vivete la vita reale, giocatevi le vostre chance, entrate da protagonisti in questo momento storico. Formatevi, acquisite nuove competenze, studiate, preparatevi, non credete alle fake news, non riducete il vostro apprendimento a qualche tweet, informatevi. Non cedete alla pericolosa lusinga delle polarizzazioni della logica binaria che ci vengono proposte. È possibile. Soprattutto, è necessario.
Da dove si può partire?
Dal…
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