Studi organizzati e il bisogno di sapere “come fare”

di nicola di molfetta

Nei giorni scorsi, ho ricevuto, tra le tante mail, un invito per la partecipazione a un webinar in cui si sarebbe parlato di esercizio della professione in forma associata. Sono ancora molti i professionisti che chiedono di sapere come fare a dar vita a uno studio legale organizzato. Si tratta, del resto, di un’esigenza diffusa e allineata con i tempi. Parliamo tanto di multidisciplinarità, specializzazione, soft skill e nuove competenze ma spesso ci dimentichiamo che il settore non ha grandi punti di riferimento nel merito. Ci sono le singole case history (che noi puntualmente raccontiamo, quando ci sembra che abbiano qualcosa da dire). Ma spesso non bastano. Anche perché astrarre concetti, metodi e procedure è un’operazione che viene facile solo a pochi lettori “evoluti”.

La legge, per parte sua, aiuta poco. Il testo della 247/12, si limita a riconoscere che la professione può essere svolta (anche) in maniera associata o addirittura in forma societaria. Ma non aggiunge un’acca su come questa possibilità si possa realizzare in concreto. Non stupisce, quindi, che il numero di avvocati che esercitano in gruppo, in Italia, sia ancora minoritario rispetto alla generalità dei solisti del diritto che un po’ per tradizione e un po’ per diffidenza, preferiscono non impelagarsi nella costruzione di qualcosa che sia qualcosa di più dell’essenziale bottega professionale. Nel 2017, Asla, vale a dire l’associazione degli studi legali associati, ha realizzato per UNI la prassi di riferimento che chiunque può utilizzare come benchmark. Un documento (UNI/PdR 33:2017) che nelle prossime settimane potrebbe assurgere al rango di Norma Tecnica. Un passaggio importante anche perché dà ulteriore forza a uno strumento che nel corso di questi cinque anni ha permesso a molte realtà di avere una traccia da seguire per strutturare il proprio assetto organizzativo in modo efficace.

Ma c’è anche un altro aspetto da sottolineare. Forse ancora più importante del primo. L’esistenza di una Norma Tecnica Uni determinerà un rafforzamento di quel percorso di evoluzione culturale che la professione sta faticosamente seguendo da anni. L’indice della norma è di per sé esemplificativo di cosa si parla quando si ragiona di uno studio professionale, oggi. Si tratta di entità che vanno governate con un approccio organizzativo strutturato per processi. Si tratta di organismi in cui va definito un organigramma con la relativa assegnazione di ruoli e responsabilità ai soggetti che ne fanno parte. E poi ci sono l’orientamento ai clienti, il controllo dei rischi, la programmazione delle attività che devono coesistere con l’impegno della struttura alla comunicazione esterna, al conseguimento di specifici obiettivi strategici e, ovviamente, alla sostenibilità. Ma la cosa più importante che questa novità potrà fare, è far capire che principi e criteri per la gestione in forma organizzata di uno studio legale o di dottori commercialisti, possono essere seguiti e declinati da qualsiasi tipologia di associazione o società, indipendentemente dalle dimensioni (non è solo roba da grandi studi) e dalla localizzazione geografica (non riguarda solo gli studi di Milano).

Ciò che deve “guidare” è l’approccio alla professione. La volontà di renderlo meno estemporaneo e routinario, trasformandolo in qualcosa di ragionato, efficace ed efficiente. Compliant anzitutto con la domanda di mercato.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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