Studi legali, se il mercato si muove solo grazie ai passaggi generazionali

di nicola di molfetta

I cicli che fino a oggi hanno interessato il mercato dei servizi legali italiano sono stati guidati più che da dinamiche di mercato effettive (concorrenza e strategie) dai passaggi generazionali. Questo è un dato di fatto. A ben guardare, l’unico fattore di mantenimento della competitività che ha un peso effettivo in Italia è rappresentato dalla capacità di un’organizzazione professionale di essere tale: sarebbe a dire, di costruire e realizzare quella fase di passaggio del testimone dalla generazione dei fondatori alla leadership successiva che, se guardiamo all’anagrafica, salta sempre una generazione di mezzo quella che prolifera al fianco dei “grandi vecchi” seguendoli per tutto il percorso della loro parabola senza essere (quasi) mai chiamata a raccoglierne il testimone in senso operativo anzi, rimanendo a questi legata da un rapporto di deferenza e sostanziale riconoscenza.

Più della internazionalizzazione del settore, più della evoluzione tecnologica dei servizi, la capacità di gestire il fattore umano si è dimostrata, fino a oggi, la leva principale di qualsiasi reale cambiamento nella geopolitica del settore in Italia. E così rischia di essere anche nel prossimo futuro. Quanti studi hanno lavorato, ad oggi, sulla costruzione del proprio passaggio generazionale? E quanti sono al traguardo della seconda o terza generazione?

Uno sguardo alla lista delle prime 50 insegne per fatturato attive nel Paese ci offre dei dati che fanno riflettere. Il 64% delle insegne in lista non ha ancora visto un effettivo passaggio di mano al timone della struttura. C’è poi un 8%, che coincide con il novero delle big four, che può essere in assoluto considerato estraneo a queste dinamiche perché si tratta di realtà dove la forza del brand sotto cui operano i professionisti travalica nettamente le individualità che possono (com’è normale) accompagnare queste strutture attraverso fasi di espansione o contrazione. Infine, c’è un 28% (arrotondato per eccesso) di organizzazioni che ha superato il test almeno una volta: anche se molte di queste sono branch locali di organizzazioni internazionali dove, quanto detto prima per le big four si può ripetere quasi (ma non del tutto) pedissequamente.

Questo cosa vuol dire? Che in anni in cui, per molte di queste realtà si festeggiano anniversari a due cifre dell’operatività e presenza sul mercato italiano, il momento del test del passaggio generazionale comincia a farsi molto vicino e che dall’esito di questo esame potrebbero derivare importanti rivolgimenti all’interno del settore.

Ma c’è anche un’altra considerazione che, secondo me, va fatta alla luce di questo scenario. L’avvocatura d’affari italiana deve insistere sul cambio di passo nella gestione delle risorse umane e nella valutazione dei talenti. Troppe volte, ancora, l’inserimento (dall’interno o dall’esterno) nei ruoli di potere e di guida effettiva, di risorse che per autorevolezza, reputazione e capacità commerciale sarebbero in grado di garantire quella continuità del posizionamento raggiunto a un’organizzazione è sacrificato in nome della salvaguardia degli equilibri ovvero della protezione di una presunta cultura di studio che a ben guardare somigliano molto più spesso a una malcelata volontà di non inserire nel corpo professionale dell’organizzazione soggetti che possano minacciare la sussistenza di privilegi acquisiti e posizioni di rendita.

Forse è anche per questo che qualcuno, da qualche tempo, suggerisce che prima o poi le organizzazioni legali complesse dovranno affidarsi a manager di professione per la loro gestione, soggetti terzi ed estranei alle dinamiche di concorrenza professionale. Forse è per questo che l’idea, da sviluppare ed elaborare nella sua tutt’altro che minima complessità, andrebbe presa seriamente in considerazione.  

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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