Studi legali: cambi di poltrona col freno a mano tirato

di michela cannovale

Nonostante il mercato legale continui ad essere caratterizzato da un certo dinamismo, un’analisi dei dati a livello macro rivela in realtà che i cambi di poltrona procedono nel 2023 piuttosto al rallentatore. A rilevarlo è un’analisi di Taylor Root, società di consulenza del settore legale, che in riferimento all’andamento dei movimenti da uno studio legale all’altro in Italia nei primi otto mesi di quest’anno utilizza il termine “The Great Stay”.

Così come succede nel settore in house, anche nella private practice, infatti, nonostante un mercato del lavoro relativamente vivace, i candidati sono restii al trasferimento.

“Quando avrebbero la possibilità di iniziare una nuova avventura lavorativa in uno studio legale diverso da quello attuale, gli avvocati preferiscono rimanere dove stanno, timorosi di abbandonare la propria comfort zone”, ha spiegato a Legalcommunity.it Giulia Natale, Senior consultant e Head of Private Practice Italy di Taylor Root.

I motivi sono i seguenti: la crisi economica, il conseguente aumento dei tassi di inflazione, il caro dell’energia. Fattori, questi, che nonostante la crescita del PIL, hanno contribuito ad appiattire il sentimento di ottimismo che si sentiva all’inizio dell’anno e a diffondere anche negli studi un generale senso di cautela. Non fosse per le practice dei settori regolamentati, dove rimane alta la domanda di avvocati specializzati in cybersecurity, data protection, energia e ambiente e healthcare law, anche da parte degli studi legali si riscontra infatti una certa timidezza nella ricerca di nuovi candidati. “Gli studi sono sì interessati ad esplorare potenziali collaborazioni, ma risultano titubanti quando si tratta di finalizzare la ricerca”, ha continuato Giulia Natale.

Secondo il report di Taylor Root (in via di pubblicazione), questi timori accomunano tanto gli avvocati junior, che preferiscono la comfort zone che offre maggiori sicurezze, quanto profili più senior, che temono che rivolgendosi altrove rischierebbero di perdere il giusto sponsor (molto importante nella crescita interna, soprattutto per chi ambisce alla partnership).

Nuove opportunità per chi non raggiunge la partnership

Come spesso accade, i tempi duri possono anche offrire opportunità a chi è in grado di coglierle. Vi è infatti una categoria di legali che nonostante sia stata toccata dai timori sopracitati, ha deciso di trarne spunto per intraprendere una nuova sfida: non è raro, infatti, che avvocati senior e aspiranti soci di rinomati studi legali (ma con portafoglio clienti non sufficiente) abbiano deciso di fondare nuove boutique legali, magari congiuntamente con altri colleghi in situazioni simili. Realtà peraltro che sembrano funzionare, anche perché permettono loro di entrare sul mercato con fee più basse e attrarre anche nuovi clienti – ha sottolineato Giulia Natale – oppure di intercettare una clientela che per i grossi studi non è d’interesse.

Il mercato in house non fa più gola

Il libero foro, questo è certo, rimane comunque più attraente del mercato in house, tanto che sempre meno avvocati decidono di spostarsi dalla private practice all’azienda.

Dallo scoppio della pandemia, infatti, gli studi sono stati molto più veloci nell’adattarsi a quelle che sono le richieste dei candidati: work-life balance, flessibilità, smart working, attenzione alle policy di diversity & inclusion. Queste, insieme alle alte remunerazioni e alla flat tax in vigore per i liberi professionisti, fanno sì che oggi l’avvocato non guardi più di buon occhio ad un eventuale trasferimento in azienda, contrariamente a quanto succedeva in passato, quando gli studi non avevano ancora cominciato la loro rincorsa alla talent retention.  

michela.cannovale@lcpublishinggroup.com

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