Stato di diritto, se Young Law ha più coraggio di Big Law

di nicola di molfetta

Negli ultimi mesi, negli Stati Uniti sta accadendo qualcosa di sconcertante: l’amministrazione Trump, con una serie di ordini esecutivi, ha preso di mira i grandi studi legali, noti come Big Law. Questi colossi, che dominano il panorama legale per dimensioni, fatturato e numero di clienti, sono stati accusati di attuare politiche DEI (Diversity, Equity & Inclusion) discriminatorie e di aver sostenuto in passato cause o soggetti sgraditi (perché ritenuti ostili) alla presidenza.

Tra gli studi colpiti, per esempio, Paul Weiss ha subito conseguenze per aver agito pro bono contro alcune persone coinvolte negli eventi del 6 gennaio 2021 e per aver assunto un avvocato che in precedenza aveva indagato su Trump. WilmerHale, invece, è stato contestato per aver affidato incarichi all’ex direttore dell’FBI Robert Mueller. Perkins Coie è stato sanzionato per il suo coinvolgimento in iniziative politiche, come le campagne per la revisione delle leggi sull’identificazione degli elettori.

Le ripercussioni di questi ordini esecutivi sono gravi e includono: sospensione delle security clearances, interruzione dei rapporti con il governo federale, limitazioni di accesso agli edifici governativi e divieti di assunzione per i professionisti di questi studi.

Alcuni studi hanno deciso di ricorrere giudizialmente contro queste misure, ottenendo una sospensione temporanea dei provvedimenti in attesa dell’accertamento della loro costituzionalità. Altri, come Paul Weiss, Skadden, Willkie Farr & Gallagher e Millbank (e molti altri, senza nemmeno avere ricevuto la notifica ufficiale di un provvedimento), hanno invece scelto di negoziare con l’amministrazione per evitare danni irreparabili. In cambio del ritiro delle sanzioni, si sono impegnati a rappresentare clienti di ogni orientamento politico, rinunciare alle politiche DEI ritenute “illegali” e fornire fino a 100 milioni di dollari (ciascuno) in servizi legali pro bono per cause come la lotta all’antisemitismo e il supporto ai veterani.

Il presidente di Paul Weiss, Brad Karp, ha dichiarato che la scelta di negoziare è stata dettata da ragioni di sopravvivenza, poiché l’ordine esecutivo avrebbe potuto distruggere lo studio e danneggiare i suoi clienti, minacciati dalla perdita di contratti governativi.

Tuttavia, accettare il “male minore” resta una scelta problematica. La necessità di proteggere il proprio business non dovrebbe giustificare la resa di fronte all’interferenza politica nella professione legale. Di fronte alla passività di Big Law, sono stati i giovani avvocati a reagire con più fermezza. Centinaia di professionisti emergenti hanno scritto lettere e promosso iniziative per sollecitare i vertici degli studi a resistere a queste pressioni. In particolare, giovani avvocati hanno firmato un appello per difendere il diritto alla rappresentanza legale per tutti, unendosi alla posizione dell’American Bar Association, che ha condannato l’idea che il governo possa punire gli avvocati in base ai clienti che scelgono di difendere ovvero alle cause che decidono di rappresentare e sostenere anche nelle loro policy in terne e di governance.

David Goldman, presidente di Auschwitz for the Study of Professional Ethics, in un intervento su Law.com ha denunciato l’attacco ai principi fondamentali della professione legale: “Questi ordini esecutivi minacciano i fondamenti etici della professione”.

E anche in Europa, questa vicenda non può lasciarci indifferenti. L’onda d’urto di queste dinamiche potrebbe presto raggiungere anche le aziende e gli studi legali europei (anzi, molti riferiscono che ciò sta già accadendo), costringendoli a scegliere tra la difesa dello stato di diritto e la convenienza del compromesso. È una battaglia che riguarda tutti e che non può essere liquidata nella rubrica delle curiosità dall’estero.

QUESTO ARTICOLO APRE IL NUOVO NUMERO DI MAG. CLICCA QUI E OTTIENI GRATIS LA TUA COPIA!

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

SHARE