Sono i grandi clienti che fanno grandi avvocati. O no?

di nicola di molfetta

Quante volte abbiamo scritto (e letto) come dovrebbe essere il profilo ideale del partner di uno studio legale. In tempi in cui l’attenzione alla crescita “per linee interne” sembra essere tornata di moda, la questione è tutt’altro che secondaria. Capacità commerciale, estro, empatia, competenza tecnica (deo gratias!!), cultura internazionale, capacità di visione, sono solo alcune delle caratteristiche che più frequentemente vengono indicate tra gli atout degli aspiranti soci.

Qualche giorno fa, però, conversando con la general counsel di un grande gruppo industriale è emerso un tema di notevole interesse. A nessuno studio legale con cui questa professionista è solita lavorare è mai passato per la testa di confrontarsi con lei o con la sua azienda nel momento in cui si è trovato a valutare i profili di professionisti da promuovere al grado di soci.

La stessa general counsel ha confessato che uno dei motivi che l’ha portata a lavorare in azienda è stato, anni fa, la risposta ricevuta dal suo socio di riferimento quando, da giovane e ambiziosa avvocata, sperava di accedere alla partnership dello studio in virtù degli ottimi feedback che ripetutamente le capitava di ricevere dai clienti con cui aveva modo di lavorare. «I clienti non fanno i soci», era stata la risposta.

In effetti, a tanti sarà capitato più volte di sentir dire da avvocati di grido intenti a schermirsi: «Non esistono grandi avvocati, ma solo grandi clienti». La frase pare sia stata originariamente pronunciata da un grande avvocato del passato. Ma tant’è, è divenuta un luogo comune. Il quale, tuttavia, oggi sta a indicare più l’importanza della relazione tra avvocato e cliente che la rilevanza dell’opinione che quel cliente ha del professionista.

Un tempo, certo, le due cose andavano di pari passo. Oggi, però, con gli studi associati che contano centinaia di avvocati e con le organizzazioni legali che aspirano a diventare istituzioni, il tema della relazione personale (e della sua titolarità) dovrebbe cedere il passo al concetto della considerazione e della reputazione personale che un avvocato riesce a costruire tra i clienti dello studio.

Insomma, avere una seconda o terza opinione da parte dei soggetti per i quali si lavora solitamente, in merito alle qualità e alle caratteristiche di un candidato socio del proprio studio potrebbe non essere affatto una cattiva idea.

Gli avvocati si lamentano spesso dell’autoreferenzialità del loro mondo: beh, questo potrebbe essere un antidoto. Un rimedio che potrebbe rivelarsi utile sia alla cura della sindrome da “specchio delle brame” sia alla vaccinazione dello studio contro il proliferare di cordate e parrocchie. Spesso, infatti, essere collaboratore di un socio o di un altro può fare la differenza tra avere o meno delle chance concrete di fare carriera nella law firm in cui si lavora. Ecco, forse, introdurre una prassi per cui il gardimento di un candidato socio viene verificato anche tra chi il lavoro lo dà allo studio potrebbe aiutare.

Detto questo una domanda è rimasta senza risposta: ma cosa ci fanno gli avvocati con i sistemi di customer relations e customer satisfaction che fanno a gara a comprare nelle versioni più avanzate? Ah saperlo!

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In sommario

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  • KAIROS AMPLIA IL TEAM PRIVATE BANKING CON DAVERIO
  • BOROMEI È VICE PRESIDENT HUMAN RESOURCES E ORGANIZATION IN SNAM
  • HAT COMPRA IL 70% DI ORIZZONTE SGR
  • DENTONS PRENDE CASUCCI PER L’IP
  • ITALIAONLINE, RANZA NUOVO DIRETTORE BUSINESS UNIT SME MEDIA AGENCY
  • GOP RAFFORZA BRUXELLES CON FRANCESCO MARIA SALERNO
  • DLA PIPER RAFFORZA L’M&A CON ALMINI
  • ORRICK AFFIDA A GABRIEL MONZON CORTARELLI L’AMERICAS DESK
  • VINCENZO SALARI GLOBAL HEAD DEL REAL ESTATE DI INDOSUEZ WM
  • CRISTOFFANINI & ASSOCIATI APRE A MILANO
  • CRÉDIT AGRICOLE CARIPARMA, CLARIZIA RESPONSABILE FINANZA D’IMPRESA
  • PRELIOS INTEGRA, LIA DI NARDO NUOVO PROJECT MANAGER
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L’intervento
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L’idea
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di emanuela campari bernacchi, licia garotti, silvia d’alberti e laura ortali

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