Si chiama Harvey il primo (vero) roboavvocato. E lavora da Allen & Overy
Primo, Allen & Overy. Sapevamo che sarebbe stata una questione di tempo. E il tempo è arrivato. La law firm magic cirlce, nei giorni scorsi, ha ufficializzato l’integrazione di «una piattaforma innovativa di intelligenza artificiale costruita su una versione dei più recenti modelli di Open AI potenziati per il lavoro legale» nella sua attività globale.
L’avvocato robot si chiama Harvey e consentirà agli oltre 3.500 avvocati di Allen & Overy nel mondo (Italia compresa) di «generare e accedere a contenuti legali con efficienza, qualità e inteligenza». Per essere più precisi, Harvey è il nome della società fondata da un team di ex avvocati, ingegneri e imprenditori che condividono la visione di trasformare il settore legale con la tecnologia. Tra questi, ci sono Winston Weinberg, ex associate dello studio legale O’Melveny & Myers, e Gabriel Pereyra, ex ricercatore di DeepMind e machine learning engineer di Meta AI.
L’avvio di Harvey è stato sostenuto da un’operazione di seed capital realizzata con il supporto di OpenAI Startup Fund il cui valore, secondo le fonti di stampa, si aggirerebbe attorno ai 5 milioni di dollari.
Allen & Overy ha cominciato a sperimentare Harvey lo scorso novembre 2022 con un team di avvocati e sviluppatori riuniti in quello che viene chiamato Markets Innovation Group (MIG). Alla fine della sperimentazione, gli avvocati della law firm, in tutto il mondo, avevano chiesto ad Harvey circa 40.000 informazioni per il loro lavoro quotidiano con i clienti.
E qui sta la grande novità e il potenziale da game changer che è insito nell’utilizzo di questa tecnologia. «Si tratta di una soluzione in grado di liberare la potenza dell’intelligenza artificiale generativa per trasformare il settore legale. Harvey è in grado di lavorare in più lingue e in diverse aree di pratica, offrendo un’efficienza e un’intelligenza senza precedenti. Nella nostra prova, abbiamo visto risultati sorprendenti», ha sottolineato David Wakeling, responsabile del gruppo Innovazione dei mercati di Allen & Overy.
Harvey è una piattaforma che utilizza l’elaborazione del linguaggio naturale, l’apprendimento automatico e l’analisi dei dati per automatizzare e migliorare vari aspetti del lavoro legale, come l’analisi dei contratti, la due diligence, il contenzioso e la conformità normativa. Più nello specifico, Harvey utilizza la tecnologia GPT-3 (non ChatGPT) per consentire agli avvocati di creare documenti legali o eseguire ricerche giuridiche fornendo semplici istruzioni in linguaggio naturale.
Sebbene i risultati debbano essere esaminati attentamente da un avvocato, Harvey può aiutare a generare intuizioni, raccomandazioni e previsioni basate su grandi volumi di dati, consentendo agli avvocati di fornire soluzioni più rapide, intelligenti ed economiche ai loro clienti.
L’accordo con Harvey potrebbe dare a Allen & Overy un significativo vantaggio competitivo sul mercato. «Harvey AI non è solo un’altra piattaforma, ma una vera e propria svolta che ci consentirà di offrire ai nostri clienti un valore, un’efficienza e un’innovazione senza precedenti», ha dichiarato Wim Dejonghe, senior partner di Allen & Overy. Allen & Overy è il primo studio legale globale a venire allo scoperto in questa definitiva partita per l’impiego dell’intelligenza artificiale nel settore dei servizi legali, ma di sicuro non l’unico ad essersi avventurato su questa strada. Weinberg e Pereyra hanno dichiarato a Bob Ambrogi, uno dei più acuti e informati blogger specializzati in materia legal tech, che stanno lavorando anche con altri studi legali che si stanno preparando a utilizzare Harvey. Non si fanno nomi, ma a quanto pare alcuni stanno esplorando l’utilizzo di Harvey solo per determinate aree di pratica, mentre altri, come Allen & Overy, stanno cercando di implementare lo strumento a livello di studio. Quanto ad Allen & Overy, Weinberg e Pereyra hanno dichiarato che lo studio ha utilizzato Harvey in 50 lingue diverse e in 250 practice area sparse tra tutti i suoi uffici: in buona sostanza, quasi un quarto dello studio, ogni giorno, ha utilizzato lo strumento (l’80% se si fa la media sul mese).
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