Senza quote rosa, le donne spariranno dai cda
Sono passati poco più di 4 anni da quando la legge 120/2011 – la cosiddetta Golfo-Mosca, dal nome delle due deputate che l’hanno proposta e sostenuta – è diventata operativa. Quattro anni nei quali i consigli di amministrazione (i primi sono stati quelli rinnovati nel 2012) hanno iniziato ad aprirsi alle donne passando dal 7% di presenze femminili del 2011 all’attuale 30,3%. Un risultato notevole, che tuttavia non ha eliminato gli ostacoli che limitano l’accesso delle donne ai ruoli di comando.
Se infatti è stato dimostrato che le performance aziendali e la gestione dei rischi sono migliori nelle aziende dove c’è almeno una donna nel cda, è pur vero che il loro contributo non è ancora completamente riconosciuto o valorizzato. Come dimostra il fatto che solo il 13% raggiunge i ruoli di vertice nei cda, e che il loro compenso è meno della metà di quello dei colleghi uomini.
Si tratta di luci e ombre che sono state svelate durante l’incontro SMART Boards for smart companies recentemente organizzato da Valore D e dalle Alumnae In The Boardroom in Borsa Italiana al quale ha partecipato anche Stefania Bariatti (nella foto), professoressa di diritto internazionale dell’Università di Milano, presidente di Sias e of counsel dello studio legale Chiomenti.
Le donne che entrano nei board hanno bisogno di una formazione specifica?
Penso che chiunque entri per la prima volta in un cda avrebbe bisogno di conoscere un po’ di diritto societario per essere cosciente dei rischi e delle responsabilità alle quali va incontro. Trovo però singolare che alle donne venga offerto di seguire dei corsi prima di entrare in un consiglio di amministrazione, mentre per gli uomini questo non è mai stato un passaggio.
Qual è la sua posizione riguardo alla legge Golfo-Mosca?
Penso che sia scandaloso che ci sia bisogno delle quote di genere perché le donne riescano a entrare in certi ambienti. E comunque anche l’attuale soglia del 30% è secondo me ancora un risultato offensivo.
Ma pensa che senza legge si sarebbe raggiunto questo risultato?
No. Sono convinta che senza la legge Golfo-Mosca non ci sarebbe nessuna donna nei cda, se non in quelli delle aziende familiari dove le donne sono presenti nell’assetto societario e si preparano per gestirle.
Che cosa ci sarà da aspettarsi al termine del periodo di validità della norma?
Penso che la presenza femminile nei cda scenderà decisamente perché le quote di genere vengono percepite ancora come un obbligo, qualcosa che si è costretti a subire, anziché come un’opportunità di ricambio e arricchimento.
Quindi secondo lei non è vero che si è creata la consapevolezza che le società con donne nel cda funzionano meglio?
La consapevolezza di pochi da sola non basta. Senza il vincolo della percentuale minima da rispettare, secondo me, rimarranno in sella solo le donne che sono riuscite a raggiungere la massima visibilità o che hanno un curriculum molto sopra alla media.
Ne è sicura?
Pensi che alcune aziende che quest’anno avrebbero il rinnovo del cda stanno pensando di ridurre il numero dei consiglieri per non dover cercare nuovi consiglieri donna, dato che dal secondo mandato la quota di genere sale dal 20% al 30%. Non è certo un buon segnale, come non lo è la percentuale di donne nei ruoli executive.
Troppe poche?
Decisamente. Quando si leggono dati come quello sul fatto che nei ruoli executive le figure femminili sono solo il 13%, l’impressione è che le donne siedano nei cda solo perché c’è una legge che lo impone, e comunque nella maggioranza dei casi sono consiglieri indipendenti e non esecutivi.
Perché tutta questa resistenza secondo lei?
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