SE I GIOVANI AVVOCATI NON SONO COSI GIOVANI
di nicola di molfetta
Da anni si dice che per cominciare a risolvere i problemi dell’avvocatura italiana (sovraffollata e impoverita) bisogna partire dall’Università. In attesa che la battaglia sul numero chiuso nelle facoltà di Giurisprudenza venga affrontata di petto, lo scorso 5 giugno, è stato mosso un primo passo sul fronte della riforma del tirocinio con un incontro, tra il Consiglio Nazionale Forense e la Conferenza dei Presidi delle Facoltà di Giurisprudenza, sul tema dell’avvio della pratica prima della laurea e nello specifico durante gli ultimi sei mesi di Università.
La questione, fino a oggi, è stata un vero e proprio tabù. Che si ammetta o no, i praticanti, per anni, sono stati tante volte utilizzati come un bacino di mano d’opera a costo zero in grado di salvare l’organizzazione di tanti studi legali dall’incombenza di doversi sobbarcare i costi di segreterie e fattorini. A questo punto c’è da sperare che i tempi per l’attuazione di questa riforma (che se si copiasse dall’estero potrebbe considerarsi già fatta) non siano troppo lunghi. I presidi di Giurisprudenza e il Cnf puntano ad arrivare a una Convenzione. Ma il quadro normativo deve ancora essere completato con il regolamento ministeriale che deve dare attuazione all’articolo 41 delle legge 247/2014, ossia alla nuova legge professionale forense.
La questione è di cruciale importanza per risolvere il problema dall’età dei cosiddetti giovani avvocati italiani che, sempre più spesso, tanto giovani non sono. Con cinque anni di studi giuridici, più due anni di pratica e l’attesa per il superamento dell’esame di Stato (che solo per i più fortunati dura un anno) l’ingresso di un avvocato nel mercato del lavoro prima dei 28 anni è una vera e propria rarità. A questo si aggiunga il supplemento di formazione di cui in tanti hanno bisogno (possibile che a Giurisprudenza non si studi ancora l’inglese e non si facciano esami di economia?) dopo la laurea e che porta a 30-32 anni l’età media dei neo avvocati. Sono troppi? Sì, soprattutto se si punta a svolgere una carriera in studi associati, magari di matrice anglosassone o comunque di respiro internazionale. Già perché 33-35 anni, in queste realtà, spesso sono già la soglia per giocarsi l’ingresso nella partnership. E di sicuro, i 40 sono considerati un punto di non ritorno. Ovviamente sono regole e tempi figli di una cultura che si è sviluppata in mercati e Paesi diversi dal nostro. Tuttavia, la presenza massiccia di queste insegne internazionali in Italia ha influenzato profondamente i costumi anche delle realtà più locali che alzando (e di molto) l’asticella per la selezione dei professionisti da far crescere al proprio interno ha ridotto al lumicino le possibilità per tanti giovani di avere una chance da giocarsi per entrare in squadra.
La riforma del tirocinio forense, però, è solo un tassello di una più complessiva riforma della formazione dei futuri legali. Come di recente ha ricordato Luca Enriques su Lavoce.info, negli Usa si parla di ridurre a un anno, dagli attuali tre, la durata dei corsi di giurisprudenza che si frequentano dopo aver conseguito una laurea triennale. L’abbattimento del periodo di studi teorici è previsto a beneficio di un’intensificazione delle attività di tirocinio. La riduzione dei tempi di formazione dovrebbe essere accompagnata dall’incremento delle opportunità di apprendimento di quello che significa, oggi, fare l’avvocato. Di quante siano le possibili declinazioni di questa professione. E di quali siano le competenze da acquisire per riuscire a diventare il tipo d’avvocato cui si aspira. Già, perché la vera soluzione al sovraffollamento della categoria è rappresentata da una vera e propria rivoluzione culturale che consenta a chi sogna di fare l’avvocato di capire che nutrire questa ambizione in sé e per sé non significa nulla. Pensare, come spesso l’università induce a fare, che gli avvocati, oggi, siano gli stessi di 50 o anche solo 20 anni fa è illusorio e deleterio. Capire quali sono gli avvocati di cui il mercato ha bisogno è la chiave di volta per indirizzare i percorsi di formazione, fare in modo che rendano davvero competenti i giovani giuristi e diano loro la possibilità di affrontare la carriera in modo consapevole senza affidarsi al caso e alle coincidenze.
Un primo passo è stato mosso. Ora devono seguirne tanti altri.
nicola.dimolfetta@legalcommunity.it
TWITTER @n_dimolfetta
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