Sale la febbre per il Tpf, ma in Italia siamo agli albori

di massimo gaia

Si scrive third party funding (Tpf), si legge finanziarizzazione del contenzioso. Il tema è caldo. Negli ultimi mesi è uno degli argomenti più dibattuti negli studi legali. Oggetto di tavole rotonde. Sebbene in Italia siamo ancora all’alba di un fenomeno che in altri Paesi è maturo o in piena ascesa.

Il Tpf o litigation funding consiste, in sintesi, nell’intervento di un finanziatore in una causa legale o in un arbitrato. Obiettivo del finanziatore è ottenere un rendimento, ovviamente partendo dal presupposto che la causa abbia più che buone probabilità di successo. Il cliente, da parte sua, trova il supporto finanziario per sostenere una causa che, diversamente, non avrebbe avviato per ragioni di costi oppure monetizza immediatamente il diritto (teorico) a un risarcimento.

Per dare un’idea del fenomeno, all’estero è notizia recente l’acquisizione della società olandese Omni Bridgeway da parte del numero uno mondiale del settore, ovvero l’australiana Imf Bentham, che porterà alla nascita di un gruppo con un capitale di oltre 1,3 miliardi di euro a disposizione per finanziare controversie e procedure esecutive in tutto il mondo.

Omni Bridgeway e Imf Bentham sono tra le società che hanno cominciato a guardare al mercato italiano. I principali player, oltre ai due citati, sono Burford Capital, Therium Capital Management, Harbour Litigation Funding, Vannin Capital e Nivalion. Poche le società italiane che hanno cominciato a sondare il settore. Tra queste, c’è la Mecenate di Milano che ad oggi ha avviato soltanto alcune cause pilota e di fatto è in fase di startup, di raccolta fondi. A Treviso, invece, opera Fideal realtà guidata dall’avvocato Davide De Vido.

Si stima che ad oggi, i fondi che fanno Tpf abbiano in gestione (a livello globale) un patrimonio di miliardario.

Negli Stati Uniti è una pratica consolidata: il 28% degli studi legali ha fatto ricorso al litigation funding. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, nel report Third Party Litigation Funding in the United Kingdom: A Market Analysis di Justice Not Profit si legge che ci sono sedici fondi attivi, che gestiscono oltre 1,5 miliardi di sterline (con una crescita del 743% rispetto al 2009).

A livello globale, secondo le stime riportate dal report dell’International Council for Commercial Arbitration ICCA-Queen Mary Task Force on Third Party Funding in International Arbitration, che risale all’aprile dell’anno scorso, il mercato ha superato quota 10 miliardi di dollari e, soprattutto, sta crescendo molto rapidamente. In Australia si stima che il mercato ammonti a 3 miliardi di dollari australiani. Il report The third party litigation funding law review, datato dicembre 2018 e pubblicato su The Law Review, fa il punto sulle dinamiche in ogni Paese; negli Stati Uniti, per esempio, si parla di commitment fino a 5 miliardi di dollari. L’articolo sulla rivista dedicato all’Italia, a firma di Federico Banti ed Eva Goetzen di Osborne Clarke, fa il punto sul contesto normativo (dato che il mercato è praticamente pari a zero), partendo dalla considerazione che “ha ancora poca familiarità” con il Tpf.

TANTO INTERESSE, MA SIAMO AGLI INIZI

L’interesse degli studi legali, come si diceva, è elevato. Tra fine settembre e metà ottobre, solo a Milano, si sono svolti un convegno, organizzato dallo studio legale Lca, e una tavola rotonda, voluta dal centro studi Tpf della Swiss Chamber. In estrema sintesi, i due appuntamenti sono serviti ad accertare che i fondi specializzati hanno cominciato a mettere piede in Italia, sebbene il quadro normativo attuale non sia…

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