Rucellai&Raffaelli, 40 anni senza fare un lateral

Farcela da soli. Reggersi sulle proprie gambe. Crescere gradualmente, seminando e raccogliendo. Oltre che andando contro corrente. Ci sono storie professionali che sono rappresentative di un trend di mercato. E altre che, invece, testimoniano che “un altro mondo è possibile”. Come quella di Rucellai&Raffaelli.

In un settore dove i lateral hire, vale a dire l’acquisizione di soci da altri studi, sono all’ordine del giorno e in cui le fusioni tra studi legali sembrano mettere in dubbio la capacità di resistenza del modello boutique, questa associazione professionale resta sulla mappa della business law nazionale propugnando un modello di sviluppo che possiamo definire autarchico.

Lo studio ha da poco tagliato il traguardo dei quarant’anni di attività. E per la prima volta ha deciso di raccontarsi scegliendo MAG come suo interlocutore. «Fino a oggi abbiamo mantenuto volutamente un basso profilo, per nostra indole e nella convinzione che questo stile fosse anche gradito ai clienti», dice sorridendo nel suo doppiopetto grigio, Enrico Adriano Raffaelli, partner e iniziatore di questo progetto professionale nel 1979 assieme a Cosimo Rucellai, oggi of counsel dello studio, e Giovanni Maria Piras (che lasciò lo studio dopo pochi anni dall’avvio).

I soci erano stati, fino a quel momento, in forza allo studio Graziadei e in particolare rappresentavano la testa di ponte milanese dell’organizzazione che all’epoca era annoverata tra le più prestigiose e potenti law firm di casa nostra. Un’arcadia legale da cui, solo per citarne alcuni, sono nati studi come De Berti Jacchia (anche in questo caso a Milano) e Grimaldi (a Roma).

 

 

 

 

«Quando siamo partiti eravamo in tre, più due segretarie», prosegue Raffaelli. «Qui abbiamo cominciato e qui siamo sempre rimasti». Il riferimento è alla sede centrale dello studio, Palazzo Melzi di Cusano, nel cuore del quadrilatero della moda milanese. «All’inizio avevamo solo 120 metri quadri», ricorda l’avvocato, «che in precedenza erano stati l’abitazione di un pittore. L’alternativa sarebbe potuta essere un ufficio grande quasi il doppio, ma in via Larga, sopra la vecchia concessionaria Alfa Romeo. Io insistetti perché scegliessimo via Monte Napoleone. E così fu». Del resto, quando gli studi legali non comunicavano, indirizzo e arredi finivano con l’essere uno degli elementi più utilizzati per rappresentare lo status e il posizionamento di un’associazione.

Oggi i metri quadrati occupati da Rucellai&Raffaelli sono diventati 1.100 (a cui se ne aggiungono 200 della sede di Roma e altrettanti in quella di Bologna) visto che, nel frattempo, l’organico è arrivato a contare oltre settanta professionisti tra cui dodici soci. Sei equity: Enrico Adriano Raffaelli, Andrea Vischi, Maddalena Palladino, Enrico Sisti, Antonio Debiasi e Lorenzo Conti. E sei salary, figura introdotta nello statuto dell’organizzazione nel 2016 con la nomina di Giuseppe Aminzade, Elisa Teti, Michela Dall’Angelo, Michele Franzosi a cui nei giorni scorsi si sono aggiunti Michele Lombardo e Alessandro Raffaelli.

Uno dei momenti che ha favorito lo scatto dimensionale risale alla fine degli anni Ottanta ed è coinciso con l’arrivo di un incarico da parte di Lloyds Bank relativo a un contenzioso da mille miliardi di vecchie lire. Un’attività che ha impegnato lo studio per cinque anni e che ha richiesto di ampliare la squadra per far fronte alla mole di lavoro.

Ruoli a parte, tutti questi professionisti sono accomunati dall’essere nati e cresciuti professionalmente in Rucellai&Raffaelli dove sono entrati freschi di laurea o poco più. «Crescere per linee interne è stato fondamentale per realizzare il modello che avevamo in mente. Noi volevamo creare uno studio che fosse moderno e aperto all’internazionalità, ma che allo stesso tempo conservasse delle caratteristiche tradizionali per noi imprescindibili come l’indipendenza e l’etica professionale». Riuscirci alimentando la crescita attraverso innesti dall’esterno sarebbe stato decisamente più complicato. La storia dell’avvocatura d’affari lo ha dimostrato in più occasioni. I colpi di mercato, se vogliamo usare un gergo calcistico, in molti casi finiscono col diventare anche colpi alla stabilità e alla tenuta degli studi che li mettono a segno. «Mentre qui», riprende Raffaelli, «la compagine associativa è rimasta sostanzialmente stabile».

Davvero poche, in effetti, le uscite di soci registrate nel corso degli anni. Solo guardando agli ultimi cinque anni, sono due i soci che hanno lasciato lo studio, vale a dire l’equity Sara Biglieri, passata a Dentons nel 2016 e il salary Francesco Pedroni passato allo studio Stanchi nell’estate del 2018.

Pur sviluppandosi da un unico ceppo professionale (tutta l’attuale compagine associativa è formata da professionisti cresciuti al fianco degli avvocati Raffaelli e Rucellai) la partnership è riuscita a dar vita a una struttura multidisciplinare. Di fatto uno studio full service (le uniche aree non coperte sono il tax e il penale societario) costruito attorno alle esigenze dell’impresa.

«La base comune», sottolinea Raffaelli, «è il diritto civile e quello commerciale. Poi, ognuno ha avuto la possibilità di trovare la propria strada e costruire la propria specializzazione». Anche questo è un modello a cui, i soci dello studio, hanno deciso di non rinunciare. «L’importanza di essere avvocati completi», osserva Andrea Vischi, socio dal 1995 e a capo della practice di diritto del lavoro, «è fondamentale. Poi ognuno ha la possibilità di seguire la propria indole e trovare la propria strada» anche perché è il mercato a guidare l’evoluzione. A tale proposito, lo studio è stato capace di seguire nel tempo la domanda e integrare la propria offerta con le specializzazioni di cui i clienti avevano bisogno.

Capacità di sviluppare lavoro sui clienti assegnati, capacità di apportare nuova clientela allo studio, qualità del lavoro e capacità di tutorship sono alcuni dei criteri che i soci più senior dello studio tengono in considerazione nel momento in cui si decide di valutare la nomina di un nuovo partner. L’attenzione alla formazione dei colleghi più giovani, in particolare, conferma l’attitudine alla crescita interna. «È un modo di fare che ci è stato insegnato e che anche noi, quando ci siamo creati dei team abbiamo replicato nei confronti dei colleghi più giovani», dice Maddalena Palladino, socia dal 2002 attiva nel diritto sanitario e farmaceutico oltre che nel contenzioso complesso.

Insomma, la boutique legale diventa in questo modo una sorta di “bottega rinascimentale” dove «i professionisti più giovani lavorano al fianco di quelli più senior che insegnano la tecnica e trasferiscono conoscenza», aggiunge…

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