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Rinnovabili, l’onda verde nasce in giudizio

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In Italia abbiamo un problema con l’energia. E non c’entrano il gas russo o l’efficace ma semplicistico trade-off condizionatori-contro-pace evocato recentemente dal presidente del Consiglio Mario Draghi. O meglio: c’entrano, ma in maniera contingente.

La questione energetica italiana ha radici profonde, ed è spesso riassunta nell’acronimo nimby: “not in my back yard”. Tradotto: in Italia siamo tutti d’accordo sul fatto che l’energia ci è indispensabile; che quindi ci sia bisogno di procurarsela in qualche modo, e meglio ancora se in maniera autonoma e sostenibile per l’ambiente. Ma abbiamo grosse difficoltà a tradurre in pratica questi propositi. Che si parli di nucleare, di estrarre gas o di costruire un termovalorizzatore, la reazione più frequente rimane: “ok, ma non qui”.

Una ritrosia tanto generica quanto ferma, che negli ultimi anni si è estesa anche al campo delle rinnovabili; e che per una certa parte viene fatta propria dagli enti locali, dalle pubbliche amministrazioni e dai ministeri che avrebbero il compito di autorizzare la costruzione dei nuovi impianti. Con un risultato: gli impianti autorizzati sono da sempre troppo pochi. Le procedure sono macchinose, lente, spesso si perdono per strada: più del 90% dei progetti eolici e solari presentati nel 2021 è rimasto su carta.

Un dato in particolare rende chiara la situazione. Per raggiungere gli obiettivi minimi del Pnrr (circa circa 96mila MW rinnovabili entro il 2030) dovremmo costruire impianti rinnovabili per 4.700 MW l’anno. Un obiettivo teoricamente raggiungibile: nel 2020, di solo fotovoltaico, erano state chieste autorizzazioni di nuovi impianti per circa 14mila MW: ma l’80% dei procedimenti relativi è ancora pending. Il risultato è che gli impianti effettivamente costruiti nel 2021 garantiranno un massimo di 1.300 MW.

Nel complesso, oggi sono solo 57mila i MW di energia che riusciamo a ricavare da fonti rinnovabili. Un numero che nei prossimi 8 anni dovrebbe praticamente raddoppiare, per centrare i target europei.

PUNCHING UP

L’inefficienza dei meccanismi di permitting delle nuove centrali rinnovabili finisce in molti casi davanti alle nostre corti: gli investitori e i costruttori cercano spesso anche in questo modo di sbloccare gli iter.

Sta funzionando: negli ultimi mesi, con la sicura complicità del picco di attenzione dovuto ai recenti sconvolgimenti geopolitici, dai giudici amministrativi sono arrivate diverse importanti pronunce. Che, a detta di coloro che le hanno ottenute, testimoniano un deciso cambio di rotta.

«Fino a oggi enti locali, sovrintendenze e ministero della Cultura hanno esercitato spesso un ruolo politicamente interdittivo, talvolta finendo per andare oltre le sfere di competenza assegnategli dalle norme: gli esiti delle azioni legali avviate avverso questi comportamenti ne hanno confermato l’illegittimtà», spiega a MAG Carlo Montella, partner e leader del dipartimento energy&infrastructure di Orrick. Gli fa eco Andrea Sticchi Damiani, tra gli avvocati più attivi campo energy/amministrativo: «La presa di coscienza del fatto che non si possa dire di no a tutto sta anche alla base delle misure del decreto Semplificazioni, che accentrano alcune competenze in capo al ministero della Transizione ecologica (MiTE), sottraendole agli enti locali». Si tratta di una necessità: lasciare troppo agli enti (o alle corti) territoriali non permette un’uniformità di trattamento delle richieste di autorizzazione. Accentrare alcune competenze rientra dunque nell’ottica che vuole gli impianti rinnovabili essere vere e proprie opere strategiche per il Paese. Come spiegano gli avvocati di Norton Rose Fulbright Luigi Costa e Ginevra Biadico, riassumendo il trait d’union delle ultime pronunce: «Noi abbiamo cercato di dimostrare che, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, la prevalenza va data allo sviluppo delle rinnovabili». Una linea che ha effettivamente incontrato il favore dei giudici.

INEFFICIENZA DIFFUSA

Il tenore delle sentenze di TAR e Consiglio di Stato a cui facciamo riferimento è simile: quello di “correggere” alcune prassi che amministrazioni, ministeri o enti locali adottavano da anni per consuetudine, inefficienza o, talvolta, per una cautela eccessiva e non sufficientemente motivata. Un caso emblematico della macchinosità di questi procedimenti…

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