RINNOVABILI E GRID PARITY NEL 2014

di Cristina Martorana (in foto) & Micaela Tinti*

E’ proprio il caso di dirlo: non c’è pace per le fonti rinnovabili, sempre al centro di dibattiti, spesso condotti all’insegna della pura polemica tra quanti continuano a sostenerne l’utilità (e non solo nella prospettiva europea di raggiungimento dei noti – anche ai non esperti del settore – target) e quanti, di contro, le considerano corresponsabili della grave situazione economica in cui versano le tasche degli italiani, dell’incremento dell’attività della criminalità organizzata, dello scempio delle bellezze del Paese e, non ultimo, persino di quanto è accaduto nei giorni scorsi in Sardegna. In un contesto in cui, volenti o nolenti, il mercato dell’energia da fonti rinnovabili ha rappresentato negli ultimi anni una forza trainante dell’economia italiana, per i capitali e gli investimenti che è stato in grado di attrarre, per l’occupazione che ha creato, per gli obiettivi che ha raggiunto.

Viene spontaneo allora chiedersi quale futuro possiamo aspettarci, anche noi legali, da questo mercato a fronte non solo dell’imminente fine del sistema di incentivazione che lo ha decisamente supportato, ma anche dei tagli che le competenti autorità (regolatorie e governativo/parlamentari) si stanno apprestando ad approvare. Ci riferiamo a due proposte di delibera dell’Autorità per l’energia elettrica e del gas che la stessa ha messo in consultazione (AEEG 486/2013/R/EFR) nell’intenzione di intervenire, in attuazione dei decreti ministeriali emanati a luglio 2012, su scambio sul posto e prezzi minimi garantiti, nonché al disegno di legge concernente disposizioni in materia di sviluppo economico (DDL collegato alla legge di stabilità 2014) appena approdato in Consiglio dei Ministri, dopo che ne è stata “cambiata la veste” da decreto legge in disegno di legge, appunto, di iniziativa ministeriale.

Scopo di alcune previsioni contenute in tale DDL è quello – di nuovo – di ridurre oneri in bolletta (la famosa componente A3). Laddove, in tale ottica, scomparsa l’idea di un bond emanato dal GSE, si prevede: (i) taglio dei prezzi minimi garantiti; (ii) possibilità – per i titolari d’impianti che sono andati a tariffa onnicomprensiva nonché i titolari dei certificati verdi in regime transitorio – di negoziare una riduzione dell’incentivo versus un allungamento del periodo di incentivazione.

Trattandosi di provvedimenti in corso di emanazione, e come tali soggetti a possibili (oseremmo dire, quasi certe) modifiche, non è al momento dato di prevedere il concreto impatto che le stesse avranno sul mercato. Tuttavia da operatori (legali) dello stesso, non possiamo che registrare l’atteggiamento che quasi immediatamente assumono, ad esempio, alcuni dei protagonisti delle “transazioni energetiche” (i.e. gli investitori, soprattutto gli stranieri o gli istituzionali, e le banche finanziatrici) quando le prime bozze di nuovi provvedimenti di questo calibro iniziano a circolare. Atteggiamento che, senza incorrere in inutili semplicismi, si colora di scetticismo, allarmismo e “panico”. Panico da sistema; un sistema – quello normativo italiano – che, pur avendo dato prova di essere molto più stabile e garantista di altri (vedi ad esempio, quello spagnolo), non è in grado di “rassicurare gli animi”. Di qui, il blocco. Blocco a priori da parte di coloro che hanno ormai fatto uscire il mercato energetico italiano dal radar dei loro investimenti e che trovano – in queste bozze di provvedimenti – la conferma della bontà della loro decisione; blocco a posteriori (intendi, ad operazione iniziata) di coloro che continuano a vederci un’opportunità, ma non riescono a gestire (intendi placare) i timori dei loro investitori ai quali devono rendere conto (o dei comitati crediti, in caso di soggetti finanziatori) e che ormai hanno classificato l’Italia come un paese che non riesce ad assicurare certezza del diritto e tutela dell’affidamento e degli investimenti.

E rispetto a quelle poche operazioni che tagliano il traguardo, si registra un mutato ruolo del legale, chiamato sempre più spesso a fare da “garante” del rischio collegato all’investimento e, prima ancora, a cercare di strutturare l’operazione in modo da proteggere il proprio cliente dal rischio qualificato come altamente remoto se non inesistente.

In questo contesto, dovremmo allora concentrare tutti i nostri sforzi sulla valorizzazione dell’esistente che quanto meno, in quanto tale, ha uno storico (dei dati) su cui poter calibrare meglio il rischio progetto/investimento da rappresentare, da legali, a chi non ha ancora gettato la spugna e non vuol far morire il mercato rilevante. Ed ecco che emerge – a nostro avviso – l’importanza della grid parity.

Pensare alla grid parity come strumento di valorizzazione dell’esistente significa cambiare prospettiva. Significa riformulare i modelli di business posti a base degli investimenti fatti, attualmente strutturati in modo da garantire un ritorno dell’investimento nel breve – medio periodo. Significa guardare con nuovi occhi il mercato e ragionare su impianti che siano sostanzialmente “eterni”. Impianti rispetto ai quali la massimizzazione dei profitti non è più legata a doppio filo all’incentivo, ma alla vendita dell’energia prodotta da un lato, e soprattutto all’incremento di produttività (e quindi al miglioramento tecnologico) dell’impianto, dall’altro lato.

Puntare sulla grid parity come strumento di valorizzazione dell’esistente non significa nascondere le criticità che le sono, al momento, connesse. Criticità quali: (i) assenza di un quadro normativo/regolatorio di riferimento; (ii) prezzo variabile (e al momento basso) dell’energia elettrica; (iii) costi di realizzazione e manutenzione impianti; (iv) durata dei permessi rilasciati dalle competenti autorità e dei titoli sui terreni su cui insiste l’impianto, se non sono in piena proprietà; (v) competitività dei mercati esteri; (vi) assenza di PPA (power purchase agreement) di lunga durata e (vii) sostanziale non bancabilità dei progetti. Significa però mettere le basi per superarle e, soprattutto, significa dare nuova linfa a questo mercato “boccheggiante”.

In fondo, nessuno può (né deve) dimenticare che gli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili sono comunque impianti che producono energia verde, che contribuiscono al conseguimento dei target europei e non solo.

*Watson, Farley & Williams

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