Puccio: «Quando ho scelto l’indipendenza ho pensato a un progetto di vita»

 «Mi sono avvicinato alla professione grazie all’Università Bocconi che, durante il quinto anno di corso, mi ha dato l’opportunità di svolgere un periodo di stage presso uno dei più prestigiosi studi milanesi specializzati nel white-collar crime. È bastata la partecipazione alla prima udienza dibattimentale per farmi capire che quella sarebbe stata la mia strada, la professione della vita». Andrea Puccio, poco più che trentenne, ha fondato il suo studio, Puccio Penalisti Associati. Oggi, che di anni ne ha 36, guida una struttura che conta 10 professionisti, tutti under 40 e tutti dedicati al diritto penale. La sua storia colpisce anche perché l’affermazione del suo studio è avvenuta in tempi rapidi in uno dei settori tradizionalmente considerati appannaggio di avvocati dalla “chioma bianca”.

«Non mi sento di giudicare i giovani che si allontanano dalla professione, in quanto le ragioni possono essere molteplici e, spesso, hanno anche una loro logica. Tuttavia, mi sento di dare un consiglio: riflettete a fondo sul vostro presente e sul vostro futuro. Seguite, con determinazione e coraggio, le vostre passioni, senza farvi troppo condizionare da fattori esterni e da pregiudizi».

Andiamo avanti veloce. Dopo l’esperienza in Perroni, dove era diventato anche responsabile della sede di Brescia, ha deciso di mettersi in proprio. Quanti anni aveva e perché ha voluto compiere questo passo così “presto”? 

Nel 2017, quando ho avviato lo spin-off, avevo 31 anni. Ho preso questa decisione, in quanto ritenevo che, dopo sette anni, il mio percorso in quella realtà professionale si fosse positivamente concluso. La ricordo sempre come un’esperienza molto formativa e stimolante, sia sul piano professionale, sia su quello umano, che mi ha consentito di crescere in modo considerevole.

Nel penale, mettersi in proprio a 31 anni non è così comune…

A 31 anni, in Italia, nel settore legale, in particolare in ambito penale, sei “troppo giovane”. O meglio, sei considerato come tale. Ritengo che queste logiche debbano essere riviste: è un tema culturale, molto più accentuato nel nostro Paese, rispetto a quanto, invece, avviene all’estero. Detto ciò, credo che anche in Italia questo approccio stia cambiando in modo significativo. Stiamo assistendo a un’inversione di rotta, sia da parte delle imprese, sia da parte dei professionisti. E noi ce ne accorgiamo giorno dopo giorno…

Lei è uno degli esponenti di una nuova generazione di penalisti italiani. Quali sono i modelli di approccio alla professione che caratterizzano questo nuovo corso?  

Non so se si possa già parlare di “nuova generazione di penalisti”, in quanto, a mio avviso, il nostro settore è ancora molto legato a logiche tradizionali, talvolta disancorate dalla realtà. A mio avviso, il penalista oggi deve lavorare e vivere a stretto contatto con le imprese, nel day-by-day, a prescindere dalla fase patologica e dall’assistenza in giudizio.

Ovvero?

Deve essere un…

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