Penale dell’economia, che strada prenderà la disruption?
di Nicola Di Molfetta
Nulla è per sempre. L’avvocatura, così legata alla tradizione, lo sta imparando sulla propria pelle da tempo.
Gli ultimi 10 anni passeranno alla storia come l’età della disruption. E il prossimo futuro, con il prepotente ingresso della variabile tecnologica nel modus operandi delle organizzazioni legali di tutto il mondo (Italia inclusa) si prospetta come un’epoca di rifondazione radicale della professione e affermazione di modelli inediti che inevitabilmente modificheranno il mercato, ridefinendo le posizioni di forza e annientando quelle di rendita.
In questo scenario, ormai dato per acquisito da chi opera sul fronte della business law in tutte le sue declinazioni, sembra destinata a entrare anche quella porzione di mercato che sino a questo momento, di fatto, era rimasta l’ultimo baluardo dello stereotipo novecentesco dello studio legale. Penso al mercato del penale dell’economia.
Ecco, il fatto stesso di usare questa espressione per definire una specifica branca dell’attività penalistica rappresenta una novità recente, effetto di una presa di coscienza specifica da parte di una parte della community dei penalisti italiani.
E adesso?
Sono almeno due le sfide con cui gli operatori di questa area del diritto dovranno misurarsi in maniera sistematica.
La prima è rappresentata dalla volontà sempre più esplicita degli studi d’affari “generalisti” di presidiare il settore. Nell’ultimo anno non sono mancate operazioni rilevanti in questo senso (i casi più recenti hanno interessato gli studi Chiomenti, Pedersoli e Dentons) e la sensazione è che il trend sia destinato a rafforzarsi nel prossimo futuro. La complessità della materia così come i punti di contatto che ha con altri settori del diritto dell’impresa e della finanza, rappresentano argomenti favorevoli al processo di integrazione che abbiamo visto accennato nelle iniziative di questi anni e che a detta di molti operatori è destinato a intensificarsi nel prossimo futuro.
La seconda sfida, invece, interessa chi sceglierà di conservare la propria autonomia e soprattutto la dimensione della boutique specialistica.
Qui, le questioni con cui fare i conti sono molteplici. Dall’opportunità di costruire una struttura articolata per aree di specializzazione (ambientale, fiscale, finanziario, lavoro ecc) alla necessità di dare vita a organizzazioni capaci di avere continuità nel tempo, slegate dalla presenza e identificazione con un singolo professionista, in grado di non disperdere know how, valore e avviamento con l’approssimarsi di ogni passaggio generazionale.
Su quest’ultimo punto, va detto che le nuove generazioni di penalisti, cresciute nel contesto che più e più volte abbiamo raccontato dalla prospettiva di chi si occupa di civile e societario, dovrebbero avere già cominciato a sviluppare una sensibilità diversa rispetto ai loro predecessori.
E con tutta probabilità, questa inedita consapevolezza potrà tradursi nella costruzione di nuovi paradigmi professionali nel settore penale. Modelli inediti, basati sui concetti dell’associazione, del cross selling, dell’istituzionalizzazione e persino del ricorso alla tecnologia.
Un set di strumenti che rappresenteranno le nuove leve competitive all’interno di un settore che difficilmente potrà rimanere refrattario al cambiamento ancora a lungo.
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