Pavia e Ansaldo apre a Barcellona
Una leadership moderna non può che essere inclusiva. In uno studio legale moderno non ci possono essere soci utenti. Si può riassumere così l’approccio di Stefano Bianchi (nella foto) al suo nuovo ruolo. Cinquant’anni, da 25 lavora in Pavia e Ansaldo, dov’è diventato socio nel 2000. E da pochi mesi è stato eletto managing partner, raccogliendo il testimone da Roberto Zanchi che ha guidato le sorti dell’associazione negli ultimi dieci anni, dopo lo spin off di Agnoli Bernardi. «Ho accettato questo incarico sulla base di una proposta di cambiamento della governance che venisse accettata da tutta la partnership, in modo tale che potessi interpretare il ruolo svolgendo una funzione di propulsore e coordinatore di questo nuovo corso» dice a Mag l’avvocato. Che aggiunge: «Il lavoro fatto da Zanchi ci ha consentito di attraversare una fase nuova e diversa dal 2005 sino a oggi, ma sempre nel segno di una sostanziale continuità dal punto di vista dei valori fondanti dello studio». Quanto al suo programma, Bianchi non prepara una rivoluzione ma si ripropone di costruire un progetto per gli anni a venire, nella consapevolezza di poter lavorare su una piattaforma che ha ancora delle potenzialità da sviluppare. «Voglio mantenere ben saldi i valori dello studio e dare elementi di novità per il futuro».
Ci faccia qualche esempio.
Tra questi elementi di novità, il principale è quello di coinvolgere di più le risorse dello studio, a cominciare dai partner (ma non solo). E non mi riferisco solo alla collaborazione reciproca nello svolgimento dell’attività professionale, cosa che facciamo da sempre.
Ma…
Ma penso al vivere più direttamente, a seconda delle inclinazioni e delle competenze di ciascuno, la gestione dello studio che è ormai diventata molto complessa.
Un impegno corale, in buona sostanza.
Il coinvolgimento, lo spirito di squadra, il fatto di essere un team di team di talenti, passa anche attraverso una governance che per il tramite di una serie di comitati, possa consentire a più soggetti, di contribuire attivamente alla realizzazione del nuovo corso.
In pratica, però, tutto questo in cosa si è tradotto finora?
Come accennavo, si è tradotto nel fatto che abbiamo istituito una serie di comitati dedicati alle funzioni principali dello studio: strategia marketing e comunicazione, finanza e bilancio, recruiting, compliance e deontologia, affari generali.
E in questa nuova organizzazione qual è il ruolo del managing partner?
È sostanzialmente la figura che mette in contatto tutti questi comitati, per cercare di favorire il dialogo, la cooperazione e il raggiungimento di decisioni coralmente condivise sulla base di una conoscenza effettiva dei problemi e delle questioni affrontate.
Avete dei partner di riferimento per ciascun comitato?
No i comitati non hanno presidenti o figure simili. Ma ci sono deleghe interne per poter essere veloci. Perché oltre all’esigenza della coralità, abbiamo la necessità della rapidità nella decisione.
Ovvero??
Negli studi legali ci sono più decision maker, ciascuno dei quali ha un peso. Il modo in cui si riesce a trovare la massima condivisione sulle scelte strategiche è fondamentale. E questo metodo, a mio parere, non può essere gerarchico. Può funzionare in altri contesti, ma non nel nostro. Questa è una delle caratteristiche degli studi legali che, spesso, sfugge a chi li paragona sic et simpliciter a delle aziende.
Certo, però, l’operatività può risentirne. Sa come si dice: 100 teste, 100 parlamenti…
È difficile naturalmente mettersi d’accordo quando ci sono tante teste intelligenti. Ma è anche un’opportunità straordinaria.
Tornando alle vostre caratteristiche, anche l’internazionalità è uno dei vostri tratti distintivi…
Siamo internazionali, perché abbiamo uno studio forte e consolidato in Russia, siamo a Tokyo con l’unico avvocato italiano ammesso a operare lì e abbiamo soci stranieri, un tedesco e una spagnola, che operano qui tramite dei desk. E a proposito di desk stiamo incoraggiando lo sviluppo di aree come Medio Oriente e Turchia.
Pensate anche a nuove aperture all’estero?
In effetti sì. Abbiamo deciso di aprire a Barcellona. Investiamo e manteniamo la nostra vocazione internazionale dando vita, nel 2016, a una branch in Spagna che è un Paese di grande interesse. Unicredit, per esempio, ha reso noto di volerci investire. A molti piacerebbe fare una mossa di questo genere. Noi abbiamo la capacità, le risorse, la persona e le conoscenze per poterlo fare.
È una politica che funziona?
…
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