Orlando: «Serve una politica industriale per la professione forense»

Appello del ministro della Giustizia alla modernizzazione dell’avvocatura. L’intervento al convegno del Cnf sugli studi legali associati (DETTAGLI)

 

«La professione non può far finta che niente sia cambiato, deve tener conto della internazionalizzazione. Anche se non possiamo collocare chi tutela i diritti sullo stesso piano di chi eroga servizi, la distinzione non deve essere esasperata. Gli studi devono strutturarsi per avere forza sufficiente per affrontare la realtà». L’appello è stato lanciato dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando (nella foto), intervenuto al convegno del Consiglio Nazionale Forense ‘Gli Studi Legali Associati: Piattaforma di Sviluppo’, organizzato in collaborazione con gli studi BonelliErede, Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners e Chiomenti.

«Mettere il broncio alla contemporaneità, può servire nel breve periodo o per fare carriera nelle associazioni forensi ma a lungo andare è nociva. A noi serve un avvocato che riesca a seguire il cliente all’estero e non il caso opposto di chi lo perde anche in Italia».
L’intervento del ministro ha concluso la tavola rotonda: ‘Il mercato dei servizi legali nella prospettiva degli studi legali associati’ cui hanno preso parte il presidente del Cnf Andrea Mascherin e gli avvocati Carlo Croff, senior partner di Chiomenti; Francesco Gianni, senior partner di Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners;  Alberto Saravalle, senior partner di BonelliErede; Damiano Lipani, coodinatore Progetto Studi Legali Associati COA Roma; Nunzio Luciano, presidente della Cassa Forense e Giuseppe Picchioni, vice presidente del Cnf.
Per Orlando, che ha ripreso i tre temi che hanno caratterizzato il dibattito – organizzazione, formazione e specializzazione declinati in funzione dell’internazionalizzazione – gli studi devono avvicinarsi all’idea di società perché questo è l’unico modo per favorire questi processi. «Il capitale può sorreggere la formazione mentre i piccoli studi questo non lo riescono a fare, non possono fermarsi a studiare un fenomeno nuovo».

Gli studi legali, quindi, devono «diventare parte dirigente dell’evoluzione del sistema, aprendo all’internazionalizzazione e abbandonando posizioni corporative senza però rinunciare alla specificità della professione». Su questo fronte, ha proseguito, gioca un ruolo decisivo la «specializzazione che però non deve cristallizzare il quadro ma essere mobile e aperta al cambiamento». Orlando non ha risparmiato, poi, una nota polemica sulle associazioni che con «l’arma letale del ricorso hanno fermato il decreto sulle specializzazioni», subito seguita però da una apertura: «Sarebbe meglio riaprire il tavolo ministeriale e fare qualche intervento piuttosto che bloccare in tribunale un provvedimento essenziale».

«Serve un piano di politica industriale per la professione per non attrarre l’avvocato nella crisi dei ceti medi. Perché se l’avvocatura diventasse parte del movimento antisistema, per via della ‘proletarizzazione’ della categoria, ciò costituirebbe un rischio per la democrazia». In sostanza, ha concluso Orlando, «dopo l’attuazione della riforma forense, che non è un punto di arrivo ma di partenza», rimangono due grandi temi da affrontare: «L’equo compenso e il lavoro parasubordinato dei legali e quello intrecciato della specializzazione/formazione nella prospettiva dell’internazionalizzazione». «Abbiamo rimesso la professione in grado di fare i conti con il principio di realtà superando vecchie logiche corporative, ora tocca fare un balzo in avanti perché quello che voi affrontate ora a breve diventerà il futuro anche per tutti gli altri».

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