Nuova partnership, nuova governance e un piano triennale per LabLaw

Tempo di crescere. Non tanto (o non solo) in termini di dimensioni. Ma soprattutto in termini di consapevolezza e maturità. LabLaw vuole passare al “livello successivo”. E ha una strategia ben precisa per farlo.

Sono passati tredici anni dalla fondazione dello studio. E adesso è arrivato il momento di dare inizio a una nuova stagione di questa storia. Ovvero di dare seguito alla realizzazione di una visione molto chiara di cosa possa diventare un’organizzazione che, già a suo tempo, irruppe nel mercato sparigliando le carte di un settore che aveva i suoi protagonisti e in cui, dicevano in tanti, non sembravano esserci molti spazi per nuovi player che ambissero a contare.

«Che dire, siamo riusciti a smentirli e a dimostrare che il progetto era in grado di superare le barriere di mercato o di lignaggio». Parla Francesco Rotondi, seduto nella sua stanza al settimo piano del palazzo che ospita lo studio nel cuore di Milano, tra corso Europa e Piazza San Babila. «Io, Luca Failla e Angelo Zambelli (che poi ha lasciato i suoi colleghi dopo circa tre anni per entrare nell’allora Dewey & LeBoeuf e oggi è socio di Grimaldi, ndr) eravamo tre avvocati, poco più o poco meno che quarantenni, che avevano deciso di dire la loro in un settore presidiato da persone più adulte e ancorato a logiche che non erano state minimamente intaccate dalla globalizzazione legale. Uno studio labour degli inizi del Duemila era esattamente uguale, nella sua concezione e nel suo modo di operare, a uno studio labour degli anni Settanta».

In effetti, l’ingresso delle grandi insegne internazionali sul mercato italiano aveva impattato anzitutto sugli studi d’affari, imponendo loro un radicale cambio di paradigma. Ma nel diritto del lavoro, questa contaminazione aveva avuto effetti molto più blandi.

Rotondi e Failla sono andati avanti per la loro strada. Si sono fatti conoscere, diventando una delle prime realtà capace di far leva sulla comunicazione (anche pubblicitaria) per costruire giorno dopo giorno il proprio posizionamento. E oggi sono alla testa di un progetto che oggi conta circa 54 avvocati, 14 soci, sette sedi in Italia (che presto diventeranno otto con Bologna), un giro d’affari complessivo di circa 8,5 milioni di euro.

Ora, dicevamo all’inizio, sono pronti per il next step. «Vogliamo portare al pieno compimento la realizzazione di LabLaw», dice in questa intervista esclusiva a MAG Rotondi.

Lo studio ha già dei numeri rilevanti: cos’altro c’è da fare?
Tantissimo. LabLaw è uno studio che finora ha poggiato le proprie fondamenta su di me e su Luca Failla. Ma negli anni abbiamo aggregato tanta gente di valore. Professionisti che adesso sono la spina dorsale di questa struttura. E su cui lo studio si basa tanto quanto sui fondatori.

Questo cosa vuol dire?
Abbiamo deciso di aprire l’equity e di far diventare soci tanto alcuni dei professionisti cresciuti con noi qui a Milano, quanto i professionisti che guidano le sedi che abbiamo aperto in Italia, da Padova a Bari (per ora).

Per ora, in che senso?
Che ai nostri sette uffici territoriali se ne sta per aggiungere un ottavo. Sottovoce, almeno per ora, posso dire che sarà a Bologna.

Qualche anno fa, parlando di apertura dell’equity dello studio proprio su MAG (si veda il numero 57), mi eravate sembrati un po’ più freddi…
Vero. E di base il nostro atteggiamento non è cambiato. Essere socio equity significa acquisire onori ma anche oneri importanti. Significa assumersi assieme agli altri il rischio d’impresa. E non è una cosa che va presa alla leggera.

Cosa è cambiato a distanza di tre anni?
Siamo cresciuti tutti ancora un po’. In età, ovvio, ma soprattutto in consapevolezza. Oggi siamo un gruppo. Una squadra. E abbiamo dei progetti che condividiamo e che intendiamo portare avanti in maniera organizzata.

Da qui la decisione di mettere mano alla governance?
È stata una decisione conseguente. Ora abbiamo una struttura che conta su un managing partner, un presidente e diversi comitati (si veda il box, ndr). Chi fa parte dell’equity, oltre a continuare a fare l’avvocato a tempo pieno, si ritrova coinvolto anche nella gestione. Oneri e onori, come dicevo prima. 

Finora, invece, c’era un direttorio a due: lei e Failla…
Di fatto sì.

Era un bel fardello. Non dev’essere stato facile…
Vuole sapere se abbiamo avuto scontri? Certo che sì. Come è normale che sia, aggiungo. E credo che non ci sia nulla di negativo. Almeno finché la natura di questi scontri è costruttiva e non legata a permalosità o gelosie. Ma lo scontro nella visione e quindi nella ricerca di una strada per migliorare, ovvero il confronto, io lo considero positivamente. 

Del resto siete ancora insieme…
Non solo. Vede, dopo 13 anni io e Luca abbiamo ancora le stanze comunicanti. Di là c’è il violoncello. Di qua i guantoni da boxe. Niente di più diverso, ma niente di più efficace.

Torniamo alle novità. Ha parlato di progetti e governance. Perché l’una è funzionale alla realizzazione degli altri?
Perché è fondamentale avere dei ruoli. E delle responsabilità chiare.

Lei è diventato managing partner. Perché?
Nell’ambito del nuovo assetto organizzativo, ho presentato e condiviso con i soci un piano strategico per i prossimi tre anni. La mia nomina segue l’approvazione di questo piano da…

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