Monografie: Il “nuovo mondo” secondo Alberta Figari

di nicola di molfetta

Neopresidente di Tim, of counsel di Legance. Dalla pratica in uno studio tradizionale, alla carriera in una law firm. Per la prima volta, racconta la sua storia di professionista e mamma

Anno 1995. Nella sala riunioni di una delle più importanti banche d’affari del Paese, entrano alla spicciolata una quarantina di persone. Hanno le facce stanche, ma soddisfatte. Hanno lavorato per giorni ai documenti di un’importante quotazione in Borsa. Prendono posto attorno a un tavolo di noce marrone, formando una fila di giacche blu e colletti bianchi che solo in alcuni punti viene interrotta da camice di seta e tailleur dalle nuance pastello. Le donne in quella stanza si contano sulle dita di una mano. E una di queste è Alberta Figari. Ha 31 anni. È laureata da sei anni. Da poco è entrata in Clifford Chance dove ha cominciato a lavorare appena terminato un master in legge presso il King’s College di Londra

In Italia, in quel momento, ci sono complessivamente 12.357 avvocate iscritte alla Cassa Forense. Sono appena il 21,2% del totale degli iscritti agli Albi. Poche, pochissime. Anche se già molte di più rispetto ad appena 10 anni prima, quando le donne avvocato nel Paese erano 3.450, ovvero il 9,2% dell’intera popolazione forense nazionale.

Figari, il “posto” nella law firm inglese, l’ha ottenuto dopo la partecipazione a una job fair a Londra. È un momento fondamentale per i piani di espansione di quella struttura che, tra le altre cose, aveva deciso di aprire anche in Italia. «Quel poco o tanto che sono riuscita a realizzare nella vita – racconta oggi, Alberta Figari a Mag Monografie – è sicuramente il risultato di impegno e di passione per questo lavoro, ma anche di un po’ di fortuna, come amo ricordare, nel senso che mi sono trovata al posto giusto nel momento giusto». È la fine degli anni Novanta, periodo “magico” e forse irripetibile per chi voleva affrontare una carriera nel mondo dell’avvocatura d’affari. L’attività di corporate finance (per intenderci, Ipo, Opa e m&a, soprattutto su società quotate) era talmente agli albori, da un punto di vista sia normativo sia tecnico per il nostro mercato, che gli spazi a disposizione di chi voleva darsi da fare assomigliavano a “praterie”.

Agli inizi, era stata incaricata anche di seguire l’attività giudiziale della law firm inglese, ricorda l’avvocata che dal 2021 è in Legance (studio che conta oltre 400 professionisti, tra cui 69 soci, 13 dei quali donne) di cui oggi è of counsel, dopo la nomina a presidente di Telecom. «Qui a Milano da Clifford eravamo in sette. Io e Silvio Riolo (che poi, nel 2009, ha fondato Rccd, oggi Crccd, ndr), ci occupavamo anche del contenzioso dello studio, avendo nei primi anni di professione acquisito un buon background in questo settore di attività. Passavamo le giornate lavorando su operazioni straordinarie e correndo in cancelleria per depositare atti, ricorsi e documenti vari». Figari si laurea in Legge all’Università Statale di Milano, con il professor Pier Giusto Jaeger (decano della business law italiana assieme a giganti come Natalino Irti, Mario Casella, Alessandro Pedersoli e Berardino Libonati) con una “profetica” tesi sulla disciplina delle offerte pubbliche d’acquisto. Ma prima di cominciare a occuparsi della materia societaria anche nella libera professione, affronta un percorso di pratica molto tradizionale e trascorre quattro anni nello studio De Rienzo Luzzato. «Uno studio di stampo classico ma aperto all’internazionalità – racconta –dove si faceva tantissimo contenzioso civile, ma anche fallimentare e diritto di famiglia. Lì ho passato degli anni fondamentali per la mia formazione. Primo, perché ho imparato a districarmi nei meandri del Tribunale, acquisendo una buona conoscenza del giudiziale. Secondo, perché ho capito che quella era un tipo di attività che non faceva per me». Ricorda che non si capacitava del fatto che un processo potesse durare così a lungo. «Mi sono trovata a scrivere “conclusionali” relative a cause iniziate dieci anni prima. Tuttavia, sono convinta che quell’ esperienza mi abbia dato un importante vantaggio competitivo nel corso della carriera. Anzi, credo, che ogni avvocato, almeno agli inizi, dovrebbe fare una esperienza giudiziale». Il perché è presto detto: «Serve per avere una visione complessiva dell’attività che si svolge; serve per monitorare i rischi; serve per dialogare con i clienti. Partire direttamente dallo stragiudiziale, a lungo andare, può rivelarsi un limite. Non sapere come si fa un provvedimento d’urgenza, cosa significa andare a parlare con un giudice, cosa significa produrre delle prove, può ridurre le capacità di analisi e di visione di una determinata tematica, assimilando sempre più l’avvocato di matrice civilistica ai colleghi anglosassoni che, per tradizione, hanno percorsi professionali molto distinti tra attività giudiziale e stragiudiziale». La questione è fondamentale ed evidentemente appassiona Figari che torna sul punto per spiegare meglio. «La professione è molto cambiata negli ultimi trent’anni. Ma non credo che gli avvocati italiani debbano diventare più anglosassoni di quanto non lo siano già. Credo che, oggi, si possa essere generalisti nella specializzazione. Un avvocato che fa societario non deve essere un avvocato che fa solo m&a o Ipo. Deve essere in grado di muoversi nel suo “territorio di competenza” in maniera trasversale e quindi di avere la capacità di spaziare dalle attività più tipiche a quelle correlate, sia per occuparsene direttamente quando ha la conoscenza necessaria, sia per indirizzare al meglio il proprio cliente quando c’è bisogno di maggiori approfondimenti, ricorrendo a colleghi con expertise specifico».

A sentirla parlare, si percepisce come le cose, nel percorso professionale di Alberta Figari, siano avvenute gradualmente grazie anche al fatto che è stata capace di scegliere ogni volta la direzione che più la interessava. «In Clifford mi sono occupata inizialmente, come dicevo, di contenzioso unitamente ad operazioni di project financing. Poi ho chiesto di fare più attività corporate. Da quel momento ho iniziato a seguire le privatizzazioni insieme a Vittorio Grimaldi, Daniela Troilo, Nick Wrigley e Filippo Emanuele per non parlare dell’Opa su Credito Romagnolo da parte di Cariplo e delle prime Ipo come quella di Brembo per dirne alcune». A 40 anni, poi, Alberta Figari è diventata per la prima volta mamma. «Per indole sono una persona molto indipendente – dice – e questo mi ha spinto ad aspettare un po’ prima di decidere di mettere su famiglia nonostante fossi sposata da diversi anni e conoscessi mio marito dai tempi del liceo.Ma io sono nata mamma. Lo dico senza mezzi termini. La prima figlia, che si chiama Nice, come sua nonna è arrivata subito. Il secondo, maschietto di nome Mattia, un po’ dopo». Lo scorso anno, Nice ha fatto la maturità, mentre il più piccolo gli esami di terza media. «Posso dire di essere una mamma molto presente nella vita dei figli insieme a mio marito, avvocato anche lui (Carlo Pappalettera, oggi socio di Carnelutti, ndr)». Questo è un aspetto molto importante della storia che stiamo raccontando. Perché Alberta Figari sottolinea più volte quanto la possibilità di…

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