Miani: l’esecutività degli accertamenti è una misura che va ripensata

“Le statistiche diramate nei giorni scorsi dalla Guardia di Finanza evidenziano numeri importanti sia sotto il punto di vista dei contribuenti colti in fallo che dal punto di vista degli imponibili non dichiarati ed emersi in sede di controllo. Nel plaudire l'azione delle istituzioni preposte alla tutela dell'Erario e quindi, in via mediata, alla tutela di tutti i cittadini che adempiono fedelmente al loro obbligo contributivo, non bisogna però mai dimenticare di associare anche il ricordo di altre statistiche, magari meno suadenti, ma assolutamente fondamentali per comprendere perché, nel nostro Paese, serve un radicale cambiamento di mentalità non soltanto da parte dei cittadini, ma anche da parte dell'amministrazione finanziaria e delle altre pubbliche amministrazioni che si occupano della gestione dei tributi. Le statistiche di cui parliamo sono quelle del contenzioso tributario, curate dal Dipartimento per le politiche fiscali del Ministero dell'Economia. L'ultimo aggiornamento di queste statistiche risale ad ottobre 2012 e riguarda l'anno 2011. Quando il contribuente propone ricorso avverso la pretesa tributaria, i numeri sintetizzati a pagina 73 del documento ci ricordano come il giudice di primo grado dia pienamente ragione agli uffici solo il 39,39% delle volte. Nel restante 61,16% dei casi, il giudice riconosce invece le ragioni del contribuente, integralmente (46,97% dei casi) o in parte (13,68% dei casi). Anche in caso di appello del contribuente o degli uffici al giudice di secondo grado, i numeri cambiano di poco: 43,88% le vittorie "piene" degli uffici, 46,30% le vittorie "piene" dei contribuenti, 9,82% i giudizi in cui vengono accolte in parte le ragioni degli uni e in parte quelle degli altri. A scanso di equivoci, vale la pena sottolineare che i maggiori successi in contenzioso dei contribuenti rispetto agli uffici non sono figli della astuta e spregiudicata capacità dei contribuenti e dei loro commercialisti di sottrarsi a giudizi che sarebbero negativi nel merito, grazie a cavilli e vizi procedurali, perché quelle stesse statistiche del MEF evidenziano come, nei casi in cui l'esito del giudizio si fonda su un aspetto di procedura invece che di merito, sono più numerose proprio le vittorie degli uffici che quelle dei contribuenti. Un quadro di questo tipo impone necessariamente delle riflessioni, finalizzate ad abbinare alla necessaria fermezza nella caccia agli evasori anche la altrettanto necessaria consapevolezza che non si può (o, per lo meno, non si può ancora) confondere gli atti di contestazione emessi dall'amministrazione finanziaria con sentenze. L'esecutività degli accertamenti è una misura che va ripensata. Ci sono evasori ed evasori, così come ci sono accertamenti e accertamenti. Quando oggetto di accertamento sono comportamenti fraudolenti o comunque evasori totali o paratotali, questo tipo di misure mantengono una loro razionalità, nonostante i numeri del contenzioso che abbiamo ricordato. Quando però oggetto di accertamento sono cittadini conosciuti al fisco e imprese "serie", o comunque quando gli accertamenti si basano su meccanismi puramente presuntivi (come, ad esempio, nel caso del redditometro), i numeri del contenzioso che abbiamo ricordato impongono prudenza ad uno Stato che miri all'efficienza senza cedere alla ferocia. Questo è per lo meno quello che si aspetta dal futuro governo chi, come i commercialisti italiani, davvero conosce la materia tributaria e le mille sfaccettature in cui si articola il sempre più difficile rapporto tra fisco e contribuente.” Lo ha dichiarato Massimo Miani (in foto), candidato alla Presidenza del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili.

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