Marketing e bd: perché non entrano nella strategia dello studio?
Sono (per lo più) donne. Si occupano di questioni correnti. Ma il loro mandato dovrebbe essere più strategico. Si parla delle squadre che negli studi legali si occupano di marketing e business development (Mbd). Una nuova ricerca, presentata recentemente al Law Firm Marketing Summit, ha scattato questa istantanea di una categoria sempre più presente negli studi legali organizzati ma ancora troppo poco valorizzata.
L’indagine Agility In A Disrupted World, Dealing With Disruption ha messo in evidenza che quasi due terzi dei team Mbd (65%) dedicano più tempo alla gestione delle crisi o di problematiche di natura contingente che allo sviluppo di strategie. L’indagine è stata compilata da Reign Lee, responsabile della strategia di Van Bael & Bellis, e da Silvia Van Den Bruel, direttore marketing e sviluppo commerciale di Hausfeld.
Il problema è ben noto anche in Italia dove, spesso, ai professionisti impegnati nelle attività di Mbd viene chiesto di essere degli esecutori di direttive che arrivano dai soci dello studio titolari delle relative deleghe allo sviluppo e alla comunicazione ovvero dai titolari delle diverse associazioni professionali convinti di sapere quello che davvero serve per centrare gli obiettivi di crescita che lo studio si dà ogni anno.
Inutile dire che, come ribadiscono anche i curatori di questa indagine, questo stato di cose provoca effetti deleteri come la demoralizzazione dei talenti extra legali e lo spreco di risorse.
È vero, gli investimenti, generalmente, sono limitati. Ma il punto, a mio parere, non è tanto di carattere finanziario quanto di stampo culturale. Infatti, uno studio si può anche dotare del migliore arsenale possibile sul versante Mbd in termini quantitativi ma, se poi non lo usa o lo usa male o al minimo delle sue potenzialità, quell’investimento, grande o piccolo che sia non produrrà i risultati auspicati innescando un circolo vizioso per cui a pochi risultati seguiranno pochi investimenti o veri e propri tagli, salvo poi ripartire da zero quando ci si renderà conto che “bisogna spingere di più”.
C’è da dire anche un’altra cosa. L’apertura agli investimenti in marketing e sviluppo del business va di pari passo con un’attitudine alla progettualità di medio lungo periodo che, purtroppo, tende a essere una materia prima piuttosto rara all’interno del settore dove l’inclinazione a massimizzare i risultati a breve termine è decisamente più diffusa.
Eppure, lo scenario in cui il settore si muove è tutt’altro che statico. Dalla questione tecnologica all’automazione dei servizi, dall’evoluzione delle aspettative dei clienti alle nuove modalità di lavoro, fino all’intero campionario di nodi in chiave Esg che tutti gli operatori si trovano a dover sciogliere, sono a dir poco numerosi i fronti aperti e in cui l’adozione di azioni strategiche potrebbe essere necessaria per consolidare o, meglio ancora, ampliare la propria capacità competitiva.
Allora come superare l’apparente impasse culturale? Cambiando lo status quo a partire dall’inquadramento di queste figure e delle funzioni a cui fanno capo. Detta in modo diretto, chi guida queste strutture dovrebbe avere un ruolo dirigenziale equiparabile a quello di un socio dello studio (nelle Sta è possibile) e dovrebbe agire a diretto riporto del managing partner o del comitato esecutivo della struttura (il cda degli studi legali).
Senza la formalizzazione della rilevanza di queste figure e della funzione che esercitano, i team di Mbd saranno sempre considerati alla stregua di uffici dedicati agli affari correnti e poco utili alla messa a terra degli obiettivi strategici dell’organizzazione.
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