Ma chi sono gli avvocati del diavolo?

di nicola di molfetta

Giorni fa, una gallery fotografica pubblicata sul sito di un noto quotidiano nazionale mostrava i volti di alcuni imputati celebri in processi di cronaca nera della storia recente e quelli degli avvocati che ne hanno curato la difesa. Nella nostra redazione si è aperto un dibattito che in pochi passaggi è arrivato a una delle domande che sta alla radice della scelta di svolgere o meno la professione forense. Cosa significa essere gli avvocati dei cattivi?

Questa associazione tra i nomi di delinquenti o presunti tali e quelli dei professionisti che li hanno assistiti cosa suggerisce? Che gli avvocati dei sospetti colpevoli sono assimilabili in qualche modo ai loro clienti?

Tema scivolosissimo. Anche perché se proprio si vuol provare a rispondere alla domande se gli avvocati dei cattivi siano cattivi essi stessi, bisogna interrogarsi anche su questo: sono cattivi gli avvocati dei cattivi quando questi vengono condannati? O è più cattivo l’avvocato di un cattivo che riesce a farla franca? E poi, gli avvocati dei presunti cattivi, che poi si scopre essere innocenti, sono cattivi che diventano buoni in seconda battuta?

L’interrogativo sull’opportunità di difendere un probabile colpevole si pone da sempre ed è forse un tema di coscienza che qualunque avvocato ha affrontato almeno una volta nella propria vita. Il punto però, come si è visto, non è di facile soluzione. E osservato dalla prospettiva di un non-avvocato è davvero affascinante.

Ricordo la prima volta che ho conosciuto un avvocato nel mio paese d’origine. Era un uomo molto spavaldo. Giovane ed estremamente sicuro di sé. Io avevo 17 anni ed ero da lui perché oltre a fare il legale gestiva una locale agenzia che affittava spazi per delle feste (bei tempi!). Nei pochi minuti che trascorremmo insieme gli scappò questa frase: «Meno male che ci sono i delinquenti che mi danno da mangiare». Lo disse con tono ironico. Magari voleva fare lo “splendido”. Ma io rimasi scioccato. Lo ricordo come fosse ieri. Da adolescente ero radicalmente idealista e una frase del genere mi fece ribollire il sangue nelle vene.

Quello fu il momento in cui capii che non avrei mai potuto fare l’avvocato nella mia vita. Non avrei mai potuto lavorare per un delinquente conclamato e soprattutto non avrei mai potuto lavorare per aiutarlo a sfuggire alla giustizia.

Non ho mai più rivisto quell’uomo. Mentre la mia esperienza dei difensori dei “cattivi” è continuata. Forse perché il tema mi appassiona talmente tanto che non posso mai fare a meno di cercare di capire la storia e le intenzioni di chi accetta di assumere la difesa di un sospetto colpevole. Qualunque sia il reato commesso. E forse perché ogni volta che incrocio la vicenda di uno di questi legali non riesco a non sentire nella testa la voce di quell’avvocato che ringraziava il cielo per avergli donato i criminali.

Anche Gianrico Carofiglio fa affrontare magistralmente il tema al “suo” avvocato Guerrieri nel ventiseiesimo capitolo di “La regola dell’equilibrio”. Messi da parte i «discorsi di etica da rotocalco», l’avvocato nato dalla fantasia dell’ex magistrato barese, una volta che scopre che il suo cliente, un uomo di legge e una persona che reputava integerrima, è responsabile della corruzione di cui è accusato, si domanda: cosa fare? Proseguire con la difesa? Denunciarlo a rischio di essere accusato di patrocinio infedele? O rinunciare al mandato dandogli la possibilità di cavarsela grazie all’abilità di un altro legale meno scrupoloso di lui? Le regole formali, come dice il Guerrieri di Carofiglio, spesso non sono altro che un anestetico morale e le sfrutti «solo per sfuggire le responsabilità e il dovere di scegliere».

Ed è proprio qui che si gioca tutta la partita sull’etica della professione. Anzi, di tutte le libere professioni. Sulle scelte.

L’avvocato del diavolo è semplicemente colui che decide di difendere un criminale? Non è così automatico.

Di recente abbiamo conosciuto, grazie a Steven Spielberg, la storia di James B. Donovan, il difensore di Rudolf Abel, prima spia sovietica catturata negli Usa in piena guerra fredda. Donovan s’era visto appioppare dal suo studio la patata bollente. Ha fatto il suo lavoro. E lo ha fatto al massimo. Pur andando incontro alla condanna certa del suo assistito, è riuscito a evitargli la pena capitale ottenendo grande biasimo dall’opinione pubblica. Ma quel lavoro gli ha poi consentito di salvare la vita di due cittadini americani (un soldato e un civile che in quella storia c’era cascato per puro caso) arrestati dal Kgb per spionaggio e scambiati con Abel a Berlino, sul ponte di Glienicke, al termine di una trattativa all’ultimo rilancio tra servizi segreti.

Il diritto alla difesa e a un giusto processo sono principi cardine delle nostre democrazie. La presunzione d’innocenza è uno dei pilastri della nostra civiltà. Ogni caso è diverso dall’altro. L’esercizio della difesa è un dovere. Anche quando sul banco degli imputati bisogna accompagnare un “mostro” o l’autore di un crimine efferato. La giurisdizione si completa con la garanzia del diritto a essere difesi in giudizio che va riconosciuto a tutti, indistintamente.

Per cui è assurdo scandalizzarsi quando un cittadino francese e avvocato come Frank Berton decide di assumere la difesa di Salah Abdelslam, membro del commando terroristico autore dell’eccidio di Parigi del 13 novembre 2015. È assurdo scandalizzarsi per il fatto in sé.

L’avvocato dei cattivi non è un cattivo per equazione matematica. Soprattutto se questi si limita a garantir loro un giusto processo mantenendo una distanza assoluta dai loro affari.

L’unico caso in cui si può parlare davvero di avvocati del diavolo, infatti, è quello di quei professionisti che vivono al soldo di criminali e delle loro organizzazioni. Uomini che mettono a disposizione dei malviventi la loro intelligenza professionale. I professionisti della zona grigia, come li ha chiamati Nino Amadore nel suo libro. Gli avvocati che nelle vicende in cui si mette davvero in gioco la possibilità di fare Giustizia o di contribuire a essa scelgono di stare dalla parte sbagliata. Il che non avviene quasi mai in un’aula di Tribunale.

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I professionisti richiesti sono in totale 24 tra giovani avvocati, professionisti junior, praticanti o neolaureati, junior/mid/senior associate, junior e senior assistant, loan manager e collaboratori.
Le practice di competenza comprendono diritto societario e tributario internazionale, Diritto del lavoro, international litigation, banking, project finance, tax, real estate, contenzioso bancario, non permorming loans, civile, antitrust, diritto dell’Unione europea, contabilità, m&a, corporate ed energy, litigation.

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