L’indipendenza energetica e l’opportunità delle rinnovabili: avvocati a confronto
di francesco bonaduce
La stangata è in atto. Consumatori e imprese stanno già vivendo sulla propria pelle, anzi, sulle proprie tasche, l’aumento delle bollette di gas ed elettricità. Nel riferire in Parlamento, lo scorso 14 febbraio, l’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), ha fornito alcune cifre: nel 2021, il prezzo all’ingrosso del gas naturale è aumentato di quasi il 500% e quello dell’energia elettrica del 400%. Tradotto: «Nel primo trimestre 2022 sul primo trimestre 2021 si è registrato un aumento del 131% per il cliente domestico tipo di energia elettrica e del 94% per quello del gas naturale».
Il Governo è corso ai ripari con il decreto “Sostegni ter”, che tra le altre cose prevede un pacchetto di “misure urgenti…per il contenimento degli effetti degli aumenti dei prezzi nel settore elettrico”. Saranno sufficienti? E soprattutto, è un intervento che guarda al futuro in ottica costruttiva o, come spesso avviene, si limita a mettere una toppa, in attesa di tempi migliori che rischiano di farsi attendere per un bel po’.
Che fare, dunque? MAG lo ha chiesto ad alcuni avvocati specializzati nel settore energetico. Per risalire alle cause della crisi in atto, per capire dove va il mercato e, in ultima analisi, per vedere dove porta il “lungo cammino” verso l’indipendenza energetica del nostro Paese.

«Siamo di fronte a una tempesta perfetta: tutto quello che poteva succedere per far aumentare il costo dell’energia è avvenuto in contemporanea». È Lorenzo Parola, head of the Italian Energy and Infrastucture Practice di Herbert Smith Freehills (HSF), a fare il punto. Una combinazione di fattori geopolitici, di mercato e perfino meteorologici: «Da un lato, la siccità eolica del Mare del Nord e, dall’altro, il lungo inverno scorso che aveva portato allo svuotamento degli stoccaggi di gas nel nostro Paese, per cui, di fatto, non avevamo gas da mettere sul mercato». A questo, spiega Parola, si aggiunge l’elemento della ripresa cinese post-Covid: «La Cina vuole inquinare sempre di meno e sta passando al gas abbandonando le centrali a carbone. Così, i cargo di gas liquido (Gnl) sono stati dirottati verso il Paese asiatico a prezzi altissimi e ciò ha influenzato anche i prezzi del gas in Europa». Infine, naturalmente, la guerra tra Russia e Ucraina: «Putin utilizza il gas anche come arma diplomatica. I contratti di fornitura prevedono lo “swing”, una flessibilità oltre al minimo garantito. Ebbene, la Russia ha ottemperato ai suoi contratti – senza andare in violazione – ma lo sta facendo col minimo sindacale, senza fare alcuno sforzo extra», afferma il partner di HSF. E se l’Europa importa il 41% del proprio gas naturale proprio dalla Russia, dati Eurostat al 2019, la volontà del Cremlino condiziona in maniera determinante le sorti del Vecchio Continente.
«In tutto questo – aggiunge Parola – c’è un fattore non di mercato, ma politico: che noi, come Unione europea, vogliamo essere un faro a livello mondiale per la “decarbonizzazione”, con obiettivi molto sfidanti al 2055. Ma se facciamo aumentare il prezzo della CO2, pur essendo ancora lontani dall’avere un parco energetico autosufficiente di rinnovabili, è chiaro che il prezzo dell’energia sale». Il tema dell’indipendenza energetica torna così al centro della discussione. «La transizione energetica è fondamentale, ma forse le politiche europee sono un po’ frettolose. Se non vogliamo dipendere più dal gas russo, non abbiamo bisogno di un po’ di rinnovabili: ne abbiamo bisogno tantissimo e in fretta!», avverte Parola.

Un appello comune dei diversi advisor sentiti da MAG è quello volto all’accelerazione sulle autorizzazioni a nuovi impianti di rinnovabili. È di questo parere anche Eugenio Tranchino, partner e head di Watson Farley & Williams in Italia, che dà anche una fotografia del business attuale: «Il mercato secondario si è quasi esaurito: gli impianti che dovevano essere compravenduti hanno compiuto il proprio ciclo vitale e non credo che ci sarà un nuovo round di m&a sulle strutture esistenti. Necessariamente l’attenzione dovrà essere rivolta alla produzione che dovrà essere costruita e installata nei prossimi anni».
Per Tranchino, i dati sulla richiesta di nuove connessioni forniscono indicazioni importanti: «Ad oggi sono state richieste a Terna circa 200 GW di connessioni, per la minima parte riconducibili ad impianti eolici e per la stragrande maggioranza, circa il 75%, riferibili al solare. Questo dato evidenzia come l’intero fabbisogno italiano, peraltro in linea con gli obiettivi comunitari e sanciti dall’Italia nel PNIEC, potrebbe essere soddisfatto con la costruzione degli impianti rinnovabili summenzionati. Le fonti fossili sarebbero a quel punto necessarie per assicurare la fornitura nei momenti di fabbisogno e nelle more dello sviluppo dello storage, nonché per la stabilizzazione della rete elettrica». Fondamentale, sostiene Tranchino, è che la politica non dia segnali contrastanti: «Gli investitori potenziali sono tantissimi, l’interesse sul Paese – anche dall’estero – c’è. Ma questo al netto degli scivoloni, come l’articolo 16 del decreto “Sostegni ter”».

Il riferimento è alla norma che, nell’ottica di mettere un freno al caro-bollette, definisce i soggetti produttori di energia rinnovabile che dovranno versare un prezzo al Gestore dei servizi energetici (Gse): «Fondamentalmente, tutti gli impianti oggi in grid parity, entrati in esercizio entro la fine del 2020 sono colpiti a partire dal febbraio 2022 da questa imposizione, che si concretizza nel versamento a Gse di tutto l’extraprofitto data una determinata soglia, sulla base di un metodo di calcolo stabilito all’interno del decreto che di fatto prevede il versamento di circa 4-5 miliardi di euro», afferma Pierpaolo Mastromarini, partner di Bird&Bird. «Il problema principale – prosegue Mastromarini – non è tanto che si sia decisa un’imposta una tantum, ma che si sia andato a colpire soltanto il mercato delle rinnovabili. Sembrerebbe una misura ritagliata per andare a fare cassa il più velocemente possibile, senza considerare tecnicamente delle misure alternative anche di lungo periodo».

Ed è proprio sulla ricerca di soluzioni di più ampio respiro, oltre che più consone al raggiungimento degli obiettivi europei che, secondo Mastromarini, si gioca la partita: «Il mercato offshore potrebbe aiutare l’Italia a raggiungere i target che l’Ue ci chiede a partire dal 2030 fino al 2050. Molti investitori stanno puntando su questo tipo di infrastrutture, con tecnologia floating applicabile a fotovoltaico ed eolico. Ma il problema del nostro Paese è la mancata programmazione: si dovrebbe andare verso la strutturazione di un mercato diverso, non chiuso all’interno dei confini di uno Stato, ma sempre più europeo. Fatto di interscambio economico e anche elettrico». Per Carlo Montella, partner di Orrick, la lunga via verso l’indipendenza energetica passa per un “cocktail di fattori”, di breve, medio e lungo termine: «Intanto, la diversificazione nell’approvvigionamento del gas attraverso negoziazioni affrontate come Ue e non come – o soltanto come – singoli Stati membri». A queste soluzioni, spiega Montella, se ne aggiungono altre, come la previsione di contratti di compravendita di energia elettrica di lungo termine a prezzo fisso (ppa), tra le grandi utilities e il sistema produttivo del nostro Paese: «Le grandi aziende corporate possono essere acquirenti naturali anche individualmente intese. Ma dal momento che l’Italia è fatta da pmi, occorre studiare meccanismi di aggregazione della domanda di energia, lato acquirenti». Anche Montella ritiene che…
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