L’avvocato utile, rende utile anche la sua comunicazione

di nicola di molfetta

Se parliamo di avvocati e comunicazione è inutile girarci attorno: nella stragrande maggioranza dei casi siamo ancora all’ABC. I dati dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio Professionisti e innovazione digitale del Politecnico di Milano dicono, tra le altre cose, che tra le aree d’investimento più frequentate sul fronte tech, ci sono le voci sito internet e pagina social. Sarebbe interessante capire, per farci che. O, per dire cosa.
Ma questo, sappiamo bene, è difficile farlo emergere attraverso questionari e interviste destinate a scattare la fotografia statistica di un settore.
Ad ogni modo, la questione non è secondaria, visto che il tema della comunicazione è (giustamente) considerato uno dei più delicati nella gestione delle moderne dinamiche competitive nel settore dei servizi legali.

Quello che molti consulenti non dicono (almeno non in modo esplicito) è che avere un sito internet e un profilo social, serve ma non basta.
La scatola digitale con l’effige del proprio brand e le facce dei professionisti accompagnate da profili che partono dalla laurea in giurisprudenza (vi risultano avvocati sprovvisti?) per poi
fare l’elenco di competenze da mettere a disposizione di “clienti italiani ed esteri” (è fondamentale chiarire che non si hanno pregiudizi verso altri Paesi ed etnie?) se non viene concepita come interfaccia per il dialogo con gli utenti, finisce davvero per servire a poco. Si riduce a mera brochure digitale, destinata a diluirsi nell’oceano del web in compagnia di altri 8 miliardi di siti internet.
Stesso discorso può farsi per il profilo social che, con il sito di studio dovrebbe dialogare e che, anche qui, dovrebbe muoversi seguendo un vero e proprio piano editoriale per riuscire a interessare il suo pubblico.


Molti avvocati, invece, pensano che tutto si risolva nell’attivare questi strumenti e nel riempirli di informazioni su di loro. Essere online è fondamentale: è vero. Ogni interlocutore di uno studio verifica, almeno una volta, la presenza nella rete dei suoi consulenti e dell’organizzazione per cui operano. Chi lo fa, cerca conferme. Ma si tratta di acquisire un dato di base. Un elemento di partenza. Il rapporto e la reputazione si costruiscono attraverso tutte le azioni che arrivano dopo. La comunicazione della propria esistenza deve essere seguita dalla informazione riguardo la propria attività. E questa non potrà essere generica e impersonale perché altrimenti servirà a comunicare il concetto boomerang che “il nostro è solo uno dei tanti studi legali che si occupano di…”.


Ma si può fare anche altro. Si può fare di più. La comunicazione, dicevamo, non deve essere solo autoreferenziale. Sempre l’ultima edizione dell’Osservatorio Professionisti e innovazione digitale sottolinea che solo l’11% degli studi professionali attivi in Italia si preoccupa di misurare il valore creato per i clienti in maniera regolare. Dunque, sarebbe dirompente, oltreché utile, se queste pagine internet venissero vivificate anche da un dialogo con gli assistiti finalizzato a far emergere ciò che in concreto i professionisti sono riusciti a fare di buono per loro.
L’avvocato utile, l’avvocato nuovo di cui andiamo parlando da tempo, è un avvocato capace di rendere utile anche la sua comunicazione. È un avvocato che a domanda risponde. E soprattutto, è un avvocato che ascolta e non si limita a sorridere in favore di camera.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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