La spesa digitale dei professionisti ammonta a 1,76 miliardi
di nicola di molfetta
Nel 2021 avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro hanno investito complessivamente 1,76 miliardi di euro in tecnologie digitali, con un aumento del 3,8% rispetto all’anno precedente. È quanto emerge dalla nuova edizione della ricerca dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, condotta su un campione di oltre 1700 studi di avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro e presentata durante il convegno “Studi professionali: dal valore le indicazioni per lo sviluppo”.
L’incremento della spesa è un dato positivo, ma per la prima volta in dieci anni questo aumento percentuale è inferiore a quello evidenziato dalle aziende (+4,1%). In più, notano dall’Osservatorio, solo i grandi studi, prevalentemente del settore legale, hanno elaborato una strategia in grado di innovare il business attraverso le tecnologie più evolute.
La maggior parte degli studi professionali presenta modelli di business statici, che hanno indirizzato gli investimenti in digitale verso le esigenze contingenti, come il necessario ricorso allo smart working.
Anche la previsione per il 2022 sembra improntata alla cautela generalizzata. Gli investimenti in tecnologia dovrebbero rimanere sui livelli del 2021 (+0,2%).
L’attitudine digitale è legata alle dimensioni delle diverse organizzazioni professionali e sembra crescere in relazione alla consistenza delle strutture. Tra le micro realtà, l’11% non ha investito nulla in ICT e solo l’1% ha destinato più di 10mila euro. Mentre tra gli studi piccoli, medi e grandi solo il 3% non ha investito in tecnologia e il 22% ha speso più di 10mila euro.
Tra i diversi settori, gli studi multiprofessionali sono quelli che spendono di più per il digitale (in media 25.050 euro), in linea con il 2020, gli avvocati hanno visto un aumento degli investimenti del +2,9% (8.950 euro medi), i consulenti del lavoro del +2,5 (10.350 euro), mentre i commercialisti hanno visto scendere gli investimenti in ICT del -5,4% (11.450 euro).

Il 2021 è stato un anno non semplice. La chiusura dei tribunali e il rallentamento delle attività giudiziarie hanno inciso sui bilanci degli avvocati: solo per uno studio legale su due il 2021 è stato più favorevole del 2020. Mentre i vari provvedimenti del governo a sostegno delle attività economiche hanno incrementato l’attività di commercialisti, consulenti del lavoro e studi multidisciplinari (in cui operano molti avocati e che svolgono molta attività stragiudiziale) che, nel 60% dei casi, hanno visto aumentare la redditività rispetto al 2020.
L’importanza di fare squadra
L’analisi dell’Osservatorio del Politecnico milanese mette, dunque, chiaramente in evidenza il fatto che la collaborazione o l’aggregazione con altre realtà rappresenti uno dei fattori più determinanti per il buon andamento in termini economici e finanziari degli studi.
I soggetti che realizzano in modo stabile collaborazioni con altri studi o realtà diverse (come software-house, banche, network internazionali) per sviluppare business congiuntamente evidenziano una percentuale di redditività più alta (68%) rispetto alla media generale (58%).
Ma è una pratica ancora poco diffusa: solo l’8% degli studi ha avviato collaborazioni formalizzate, mentre il 26% lo ha fatto in modo stabile ma informale e un altro 26% solo occasionalmente, mentre il 37% non le ha avviate del tutto.
Per Claudio Rorato, responsabile scientifico dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale, «gli studi più articolati stanno elaborando modelli avanzati e sempre più competitivi. Oltre alla dimensione, è fondamentale la volontà di collaborare con altre realtà».
«Per far fronte alle difficoltà una delle strade da percorrere è misurare e far percepire ai propri clienti il valore generato all’interno della relazione tra professionista e cliente – afferma Federico Iannella, Ricercatore dell’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale -. Ancora una volta, però, si tratta di un’attività che viene considerata importante e portata avanti solo dalle realtà più grandi e strutturate. Gli studi che misurano con regolarità il valore creato per la clientela vanno dall’8% degli avvocati al 19% dei multidisciplinari, con un disinteresse per il tema che va dal 14% di questi ultimi al 30% degli avvocati. Circa il 40%, in generale, dice di non avere il tempo di farlo».
Gli ambiti di investimento
Le professioni hanno destinato gli investimenti in ICT soprattutto su quelle che si possono considerare “dotazioni di base”: fattura elettronica (86%), sistemi per la gestione di videochiamate (75%), piattaforme di eLearning (48%), conservazione digitale a norma (42%) e reti VPN (36%).
Tre di queste cinque tecnologie sono chiaramente figlie della pandemia, che ha accelerato la loro adozione con la chiusura forzata degli uffici per lunghi periodi.
In merito, invece, alle intenzioni di investimento entro il 2023, gli avvocati privilegiano il sito web (13%), la pagina social dello studio (9%) e la conservazione digitale a norma (7%). I commercialisti puntano sulla conservazione digitale a norma (9%), sui software per il controllo di gestione, sul sito internet per lo studio e sulla gestione elettronica documentale, tutti al 6%.
I consulenti del lavoro prediligono la conservazione digitale a norma (12%), il sito per lo studio (7%), il software per la gestione della crisi d’impresa. Infine, gli studi multidisciplinari manifestano preferenze per il prossimo biennio nel sito web (10%), nel software per la gestione della crisi d’impresa (7%), nella pagina social e nella conservazione digitale a norma (entrambe al 6%).
L’adeguamento delle competenze
L’adeguamento delle competenze ai nuovi modelli organizzativi, relazionali e di business abilitati dal digitale non registra la giusta dose di impegno e attenzione negli studi professionali.
Il 14% degli studi ha assunto o….
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