La solitudine del calciobalilla

un racconto di Nicola Di Molfetta*

Quella mattina, Orazio Sinibaldi era arrivato in studio di buon umore. La sua carriera, finalmente, stava decollando, e in più, Luciana, la sua compagna, avvocata pure lei, ci aveva preso con quello shampoo all’aloe vera che rendeva i capelli più forti e profumati. La sua alopecia da stress stava finalmente passando. E il trapianto a Istanbul poteva aspettare. Orazio Sinibaldi, quella mattina, era uscito di casa pensando che adorava il suo lavoro, la sua compagna e lo shampoo all’aloe vera. Se l’era ripetuto sei o sette volte quel mantra, sempre in quest’ordine. Scendendo le scale, attraversando la strada, togliendo il catenaccio al motorino. «Sii grato», aveva sussurrato alla sua immagine, riflessa nello specchietto retrovisore, da cui erano persino sparite le occhiaie frutto della carenza di sonno e di una dieta ancora troppo povera di proteine vegetali. Mentre, in scooter, attraversava la città rimbalzando sul pavé e ascoltando una nuova puntata del podcast di Corrado de Vincentiis, Crescere e Performare – L’importanza di essere un Professionista, Orazio Sinibaldi s’era sentito rinfrancato all’idea che quel giovedì sarebbe sicuramente bastato a chiudere la pratica Severgnini, l’ultimo scoglio che lo separava dal raggiungimento del suo budget per l’anno in corso, con tre mesi di anticipo. Il report sulla due diligence fiscale era pronto. L’analisi delle clausole proposte dalla controparte era praticamente conclusa. E ai mark up serviva solo la revisione dell’avvocato Martelli che, gliel’aveva promesso, per almeno un’ora sarebbe stato tutto suo. Fu per questo che Orazio Sinibaldi, appena passato il badge ai tornelli d’ingresso, non si stupì più di tanto quando il receptionist, seduto nel suo completo nero sotto la scritta Martelli & Schwarz International Law Firm, lo bloccò per raccomandargli di raggiungere il prima possibile il professore al sesto piano. Bruno Martelli, docente a contratto nel corso di diritto delle società e delle imprese dell’università telematica Ubi Maior, era uno dei name partner di Martelli & Schwarz. L’altro, l’avvocato Sigismondo Schwarz, era stato il compianto fondatore dell’associazione, nonché suocero del chiarissimo. L’elenco delle cariche del professor avvocato Martelli includeva anche: managing partner e responsabile del dipartimento di corporate finance. Era lui il capo dei capi dell’emergente Sinibaldi che, dal suo primo giorno in studio, si era messo a portare il conto di tutte le volte che veniva convocato al cospetto del socio superlativo. Nei primi sette anni in Martelli & Schwarz, e fino a quel giorno, erano state trentasei. Un bilancio soddisfacente soprattutto per il suo andamento progressivo che adesso, in buona sostanza, era diventato una consuetudine. Luciana, la sua compagna, gli aveva confermato che quell’andamento incrementale era indicativo del miglioramento del suo status e delle prospettive di crescita che si stavano delineando nel suo futuro. Lei conosceva bene Martelli & Schwarz. Ci aveva lavorato per dodici anni, prima di cambiare. Il problema era stata proprio la sua liaison con il giovane Sinibaldi. Quando la storia con Orazio aveva cominciato a diventare qualcosa di serio, dovette denunciarla al comitato etico dell’associazione. Il regolamento interno scoraggiava le relazioni tra colleghi.

Potevano essere tollerate delle sporadiche storie di sesso (che i periodici retreat avevano trasformato in tradizione), ma non i rapporti consolidati e teoricamente duraturi. Peggio, poi, se questi nascevano tra colleghi di rango differente.

Luciana Marini, quando decise di andare a vivere con Orazio, era già una salary partner, mentre l’avvocato era appena diventato senior associate, in Martelli & Schwarz. Non ne fecero un dramma. Non era il caso. Lei cominciò a guardarsi intorno e, alla fine, riuscì a trovare un’ottima soluzione passando equity in uno studio internazionale che si apprestava ad aggiungere il tricolore italiano al caleidoscopico insieme di vessilli nazionali che componeva la mappa del suo risiko nel mercato dei servizi legali. L’uscita di Luciana, dunque, aveva contribuito all’intensificazione degli scambi tra il sempre meno giovane avvocato Sinibaldi e il sempre più senior professor Martelli. Era nata così una collaborazione che venne scandita dalla percolazione di pratiche intestate al socio anziano sulla scrivania del collega che se ne curava con puntualità, abilità tecnica, e senza particolari rotture di scatole. La contropartita di questo galoppare produttivo prese la forma di bonus di fine anno, promozioni e incarichi di responsabilità riguardanti progetti speciali e iniziative strategiche dello studio. In particolare, circa sei mesi prima, l’avvocato Sinibaldi era stato nominato team leader del programma di well being aziendale. Nome in codice: Epicuro.

Per quell’iniziativa, che poteva valere il massimo dei punti nel processo di certificazione della qualità del modello organizzativo dello studio, Sinibaldi era stato incaricato di coordinare una squadra di due colleghi e di gestire un piccolo budget che aveva prontamente impiegato per allestire la sala ricreativa al sesto piano, una delle stanze più belle dell’ufficio, situata vicino alla terrazza su cui, durante la bella stagione, venivano organizzati gli esclusivissimi cocktail-clienti a cui, in un paio d’occasioni, gli era stato pure concesso di partecipare. Sinibaldi si era occupato personalmente dell’allestimento di quello spazio che, dopo un rapido sondaggio interno, era stato battezzato The Social House. La stanza, grande poco meno del bilocale in cui aveva abitato quand’era ancora praticante, era stata arredata con una libreria dedicata alla narrativa contemporanea, quattro poltrone di color arancio (lo stesso del brand Martelli & Schwarz) e un impianto hi-fi con connessione bluetooth e giradischi per l’ascolto della collezione di vinili che l’avvocato Martelli aveva generosamente messo a disposizione dei suoi ragazzi. L’unica, altra, piccola, ingerenza del managing partner nell’arredamento della Social House, fiore all’occhiello della sede principale di Martelli & Schwarz nel pieno centro della città, aveva riguardato la scelta del tavolo e delle sedie da piazzare vicino al corner caffetteria. Lì, l’avvocato, aveva chiesto che venisse sistemato il tavolo iridescente in cristallo che lui e il povero Schwarz, buon’anima, avevano condiviso per anni con i loro ex soci nella sede di Duplica Studio Legale e che, dopo il loro epico spin off, erano riusciti a portarsi dietro come trofeo e testimonianza tangibile del fatto che loro due erano gli unici veri eredi di Gian Augusto Duplica, mentre i loro vecchi compagni d’avventura si erano dovuti abbassare a farsene fare una copia per mantenere vivo il ricordo delle origini. Il tavolo aveva, quindi, un portato simbolico fondamentale. Tuttavia, Martelli aveva sempre pensato che si trattasse di un oggetto di rara bruttezza e fu più che felice di aver intuito per tempo la possibilità di spostarlo dalla sala riunioni Cicerone, alla sala ricreazione dei suoi sottoposti, accompagnato da una targa che riportava un sempreverde Sun Tzu: “Il conflitto è componente integrante della vita umana, si trova dentro di noi e intorno a noi”.

Infine, a completare l’allestimento della casa sociale dello studio Martelli & Schwarz, al sesto piano terrazzato dell’edificio liberty oggetto di un prestigioso intervento di ristrutturazione curato dagli architetti di Eggs Pan & Sieve Partners, c’era un calciobalilla con aste rientranti e segna punti digitale, sistemato di fianco all’angolo caffetteria, vicino alla porta finestra che affacciava sul retro della terrazza panoramica.

Questo era il pezzo di cui Sinibaldi andava più fiero. Quello per il quale era stato autorizzato a spendere la parte maggiore del suo budget, simbolo indiscusso dell’apertura dello studio al concetto di qualità della vita sul luogo del lavoro. L’oggetto, di marca Burlando, faceva bella mostra di sé nella stanza dal primo maggio di quell’anno, giorno in cui The Social House fu inaugurata alla presenza di tutti i collaboratori e del professor avvocato Martelli che dopo il servizio fotografico per il comunicato da mandare alla stampa di settore il giorno seguente, raggiunse la famiglia nella casa di campagna in Alta Langa, non prima di essersi complimentato con Sinibaldi dell’ottimo lavoro svolto ed aver raccomandato al resto del gruppo di godersi quella festa fino in fondo, e già che c’erano, di sbrigare quelle due o tre cosette di giornata che così l’indomani non sarebbe stato intasato dagli arretrati da smaltire. Fu proprio lì, appoggiato al calciobalilla con le squadre arancio e bianca schierate una di fronte all’altra sul manto di vetro blu, che Martelli si fece trovare dal suo pupillo quando questi lo raggiunse immantinente, dopo il passaggio in ricevimento.


«Orazio, finalmente!». «Buongiorno professore. Come sta? Ho tutto pronto per la pratica Severgnini. Vedrà che non le farò perdere tempo. Mi serve un suo via libera solo su un paio di piccole questioni».
«Ne parliamo dopo della pratica Severgnini, Orazio. Adesso abbiamo un’altra urgenza».
«Dica», fece lui, con la voce che a stento riuscì a nascondere la preoccupazione per il possibile sforamento della dead line che si era imposto.
«Guardati attorno e dimmi cosa noti, Orazio». La voce del socio anziano era calma, di quella calma che non prometteva nulla di buono. Sinibaldi scannerizzò rapidamente l’ambiente alla ricerca di falle, crepe, sporco, disordine, ed eventuali altre incongruenze che potevano aver contaminato quel luogo immacolato che però non gli sembrò avere nulla che non andasse.
«Mi sembra tutto in ordine, professore».
«Ed è proprio questo il problema, Orazio». Sinibaldi continuava a non capire.
«Questo spazio non è utilizzato abbastanza, Orazio. Anzi, mi viene da dire che non è utilizzato affatto. Ma com’è possibile?».
«È un periodo di scadenze. Siamo tutti molto impegnati. Credo si possa spiegare così…».
«Sì, ma ieri mi hanno scritto gli ispettori della società che sta seguendo la nostra certificazione. Sono venuti qui tre volte. E tutte e tre le volte, in questa stanza, che nella nostra pratica abbiamo descritto giustamente come fiore all’occhiello della nostra people policy, non hanno trovato nessuno. Nessuno! Nessuno che prendesse un caffè, o si trattenesse cinque minuti per una pausa relax. Nessuno che leggesse in poltrona o ascoltasse un po’ di musica buona, che qui ci sono delle chicche pazzesche. Ma, dico: questo biliardino? Nessuno viene mai a farsi una partita, con questo biliardino, che l’abbiamo pagato quanto il mese di un associate, per Diana!?».

Bisognava fare qualcosa per spingere i ragazzi all’utilizzo della Social House. Bisognava fare in modo che alla prossima ispezione, i tecnici della certificazione riscontrassero l’effettivo utilizzo della sala ricreativa assegnando allo studio il punteggio che meritava anche per le sue politiche di tutela del benessere dei collaboratori.

«Hai qualche idea, Orazio?». Sinibaldi odiava non avere risposte. Così buttò lì la prima cosa che gli passò per la testa: «Potremmo organizzare un torneo di calciobalilla». Martelli lo guardò con due occhi che gli sembrarono dire: ecco perché mi fido di te, caro Sinibaldi; ecco perché mi sono battuto per tenere te in studio, e non la tua compagna, quando avete avuto la bella idea di dichiarare al mondo la vostra unione di fatto; ecco perché il mese scorso ti ho concesso il nuovo portatile con funzioni avanzate persino per il lavoro da remoto; ecco perché quest’anno il bonus che proporrò per te in comitato remunerazioni sarà il più alto di tutti. Poi, finalmente parlò: «Mi sembra un’idea geniale. La coppa Schwarz, o il Trofeo, in memoria del compianto Sigismondo che, se non erro, era uno che a Forte dei Marmi, da ragazzino, passava interi pomeriggi al biliardino. O era Duplica? Vabbè, ma non importa, adesso. Abbiamo avuto un’idea pazzesca».
«Ma come convinciamo le persone a iscriversi?», chiese Sinibaldi che, conoscendo i suoi simili e la pressione che l’incombenza delle valutazioni di fine anno poneva sulle loro agende, era piuttosto sicuro che molti avrebbero ignorato l’iniziativa dando priorità ai budget da centrare e al tempo che correva veloce. Martelli comprese la serietà del punto e dopo qualche istante di silenzio chiese a Sinibaldi di starlo bene ad ascoltare. «Il tempo che verrà impiegato al biliardino per il torneo sarà computato nelle ore billable che ciascuno deve fare e quindi contribuirà al raggiungimento dei budget. Ma c’è di più. Ad ogni partita, il giocatore vincente non solo billa il suo tempo, ma billa anche quello dell’avversario sconfitto. Glielo vince, capisci? Come a rubamazzo. Diciamo che un match dura 20 minuti: se vinci, ne billi 40».
«E chi perde?», chiese Sinibaldi, consapevole che nessuno regala mai niente.
«Chi perde deve scalare i 20 minuti che ha impiegato nella partita dal suo monte ore accumulato».
«Insomma, uno se perde, perde al massimo il tempo necessario a una partita…», cercò di chiarire Sinibaldi per verificare che il “rischio” per i partecipanti potesse considerarsi poca cosa.
«Se perde subito sì. Se perde più avanti, che ne so, dopo quattro partite, perde tutti i minuti vinti fino a quel momento oltre ai minuti della sconfitta. Divertente così, no?».
«Sì. Ma…»
«Ma, senti la parte più bella. Se la organizziamo come una Champions, possiamo prevedere dei gironi a partita singola (non andata e ritorno) e a eliminazione. Poi, ai migliori facciamo fare ottavi, quarti, semi e prefinali. Sempre a eliminazione diretta».
«In che senso prefinali?», chiese Sinibaldi preoccupato dagli esiti dell’impeto creativo che sembrava essersi impossessato del managing partner.
«I due vincitori delle semifinali, giocheranno una “prefinale” – fece così con le dita –. Il vincitore, mettiamo il caso, uno che teoricamente si è portato a casa un budget di centoquaranta se non addirittura centossesanta minuti billable, per poterli vincere effettivamente dovrà giocare una super-finale contro di me». Sinibaldi rimase senza parole. Gli sembrò tutto un artificio diabolico. Chi avrebbe avuto, tra i colleghi, il coraggio di battere Martelli nella finalissima? La questione era seria perché Martelli non tollerava insubordinazioni da parte dei suoi sottoposti e questo valeva in qualsiasi contesto fosse adatto a ribadire l’ordine gerarchico su cui si reggeva lo studio e la società al suo interno. Era un classico. Accadeva nei tornei di calcetto e in quelli di tennis. Era una legge non scritta. Una postilla redatta in corpo otto e nascosta nel mare d’inchiostro delle specifiche in nota, di un contratto che nessuno leggeva ma che tutti firmavano nel momento in cui entravano a far parte della grande famiglia di Martelli & Schwarz. Chiunque capitava contro il name/managing/founding/senior partner dello studio non doveva sottostimare gli effetti collaterali di una vittoria sul campo (quale che fosse) sfuggita alla prudenza e al senso di umiltà. Ogni tanto qualcuno c’era cascato. Del resto, come poteva essere? In uno studio fondato sul merito, non era possibile che professionisti di ogni grado riuscissero davvero a credere che le loro fortune potessero improvvisamente esaurirsi solo per aver dato una lezione di paddle al socio supremo. Ma quelle non erano leggende. Se fosse stato ancora lì, Lindo Canicola, vincitore del torneo di freccette organizzato dallo studio durante il ritiro in montagna del 2015, l’avrebbe potuto testimoniare. Invece, il suo, era ormai soltanto un nome che si insegnava assieme ai rudimenti della professione a ogni praticante fin dal primo giorno in cui metteva piede al 27 di Via Verdi e su cui i soci dello studio erudivano i colleghi entrati, già grandi, al primo partner’s meeting utile.

«Orazio! Ma mi stai ascoltando?», chiese a quel punto l’avvocato Martelli ebbro di quello che ormai non esitava più a chiamare il suo progetto. «Conto su di te. Mi raccomando! Mettiamo in piedi un torneo con almeno, dico, almeno quarantotto partecipanti. Si giocherà in singolo, non a coppie, sei d’accordo. Fai preparare ai grafici un tabellone dove segneremo i nomi di ogni iscritto. Poi, dopo la prefinale, fai disegnare una figura mitologica con sotto la scritta: SUPERFINALE vs IL LEVIATANO. Non sveliamo subito la sorpresa. Intanto mi dovrò preparare per essere all’altezza del compito che mi attende».

«Orazio! Ma mi stai ascoltando?», chiese a quel punto l’avvocato Martelli ebbro di quello che ormai non esitava più a chiamare il suo progetto. «Conto su di te. Mi raccomando! Mettiamo in piedi un torneo con almeno, dico, almeno quarantotto partecipanti. Si giocherà in singolo, non a coppie, sei d’accordo. Fai preparare ai grafici un tabellone dove segneremo i nomi di ogni iscritto. Poi, dopo la prefinale, fai disegnare una figura mitologica con sotto la scritta: SUPERFINALE vs IL LEVIATANO. Non sveliamo subito la sorpresa. Intanto mi dovrò preparare per essere all’altezza del compito che mi attende».
«Ma, avvocato. Quarantotto sono davvero tanti… Francamente io non so…».
«Scusa Orazio», lo interruppe. «Tu pensi di partecipare?».
«Sì, penso di sì. Sono anche piuttosto bravo a biliardino, se posso dire…».
«E allora! Di cosa ti preoccupi, caro mio. Ne devi trovare solo quarantasette!», e a quel punto, prese la porta e tornò nella sua stanza, al piano di sotto, per incontrare l’ingegner Settimino a cui aveva dato appuntamento alle 11 e 45 e che non voleva fare aspettare. E la pratica Severgnini? Ne avrebbero parlato il giorno seguente. Tanto era praticamente tutto a posto, no? Adesso la priorità andava al torneo di calciobalilla. Doveva partire prima che quei benedetti ispettori tornassero a fare un giro in studio. E nessuno poteva sapere quando sarebbe successo.
Orazio Sinibaldi, quella sera,…

QUESTO È L’ESTRATTO DI UN RACCONTO CHE APPARE NEL PRIMO NUMERO DI MAG MONOGRAFIE. PER LEGGERE COME VA A FINIRE… CLICCA QUI O CHIEDI INFO SULLE COPIE CARTACEE DELLA RIVISTA

*Quello che state leggendo è un racconto di pura fiction. Ogni riferimento a fatti, cose, persone, è da ritenersi puramente casuale e frutto della fantasia dell’autore.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

SHARE