La questione di genere e quella tentazione di photoshoppare la realtà
La questione è semplice, se si fa informazione si devono raccontare le cose come stanno, che vuol dire, si badi bene, come si osservano, non come si vorrebbe che fossero.
Qualche giorno fa, l’editore di LC Publishing, Aldo Scaringella, ha pubblicato su Instagram un video in cui rispondeva pubblicamente ai soliti commenti sulla mancanza di un numero sufficiente di donne nella lista dei 50 protagonisti della finanza italiana del 2023. La questione è seria e merita un’altrettanto seria riflessione. E la prima cosa che si deve fare è operare dei distinguo, perché viviamo tempi strani, tempi in cui si corre (quasi sempre inutilmente) per fare molto, e in cui spesso si finisce per capire poco (molto poco) di tutto quello che invece richiede tempo e pensiero. La questione “quote rosa” è emblematica.
A scanso di equivoci, diciamo subito che il nostro giornale e la nostra linea editoriale pone alla questione di genere un’attenzione altissima e da tempi non sospetti. MAG è nato con una rubrica che si chiama Diverso sarà lei (che peraltro non parla solo della questione di genere) che non solo esiste tutt’ora ma che negli anni si è arricchita divenendo anche un podcast, oggi condotto da Michela Cannovale. Questo per dire che l’attenzione al tema e alle sue voci è altissima e costante, non influenzata dalle mode o dalle polemiche del giorno. Scegliere di avere su ogni numero di MAG uno spazio dedicato a questo tema significa fare una scelta politica e di impegno professionale perché vuol dire cercare voci, raccogliere storie e dare a esse tutta la visibilità che ci è possibile dare affinché le sensibilità siano sollecitate costantemente e degli effetti possano sperabilmente scaturire.
Nell’anno in cui nasceva LC Publishing, vale a dire nel 2011, il Parlamento approvava la legge Golfo Mosca che ha introdotto nel nostro ordinamento l’obbligo (per le società quotate e le partecipate) di riservare alcuni posti in cda al genere meno rappresentato. Dal punto di vista di chi scrive, la necessità di una norma sulle quote di genere era ed è conclamata. Il motivo è semplice: il cambiamento si induce. Un tempo si facevano le rivoluzioni. Oggi abbiamo le leggi (grazie al cielo). E la Golfo Mosca è servita. Ha forzato un sistema che per inerzia trascurava la possibilità di prendere in considerazione le tante donne che per qualifiche e preparazione avrebbero potuto (come poi è stato dimostrato dai fatti) dare un importante contributo per arricchire la qualità del pensiero e delle competenze degli organi sociali di tante organizzazioni.
Quello che la Golfo Mosca e, credetemi, nessuna legge in nessun Paese democratico e liberale potrà, invece, mai fare è introdurre un obbligo per far sì che la rappresentazione giornalistica della realtà venga modificata in favore del modo in cui vorremmo che essa fosse, a scapito della condizione in cui essa si trova effettivamente. E questo, oltre che per evidenti ragioni di buonsenso, è importante per sostanziali motivazioni di sanità del processo informativo. I media non devono comporre un affresco agiografico della realtà, ma cercare di descriverla senza preconcetti e senza pregiudizi. E se oggi vogliamo parlare di potere e finanza nel Paese, di certo non possiamo parlare di un sistema matriarcale. Stesso identico discorso vale per il mondo delle professioni e in particolare dell’avvocatura d’affari.
Ma perché è importante che l’osservazione e il racconto giornalistico non venga assoggettato alla legge delle quote? Perché è l’unica spia che consente di monitorare costantemente lo stato dell’arte e capire se, quando e dove sia necessario intervenire. Senza questa funzione di registrazione critica dell’esistente, molte delle iniziative volte al cambiamento (come la stessa legge Golfo Mosca) non sarebbero mai nate. Senza l’eco mediatica di fenomeni che evidenziano la sostanziale assenza delle donne dalla gestione del potere, il problema non solo non verrebbe sollevato ma in quel silenzio finirebbe solo con l’aggravarsi.
Capisco le buone intenzioni di chi vorrebbe l’applicazione della logica delle quote a tutto e in ogni ambito. Ma questo costume rischia di produrre più danni che altro. Chi fa informazione deve offrire al pubblico la fotografia della realtà che osserva, senza filtri e senza passaggi di photoshop.
A noi interessa che il cambiamento avvenga e attecchisca nella realtà e non nella finzione dei social e delle rassegne stampa. Questa sarebbe solo una magra consolazione. Utile per gratificare l’ego di qualcuno, ma poco rilevante in un’ottica di sistema. La strada da fare è molto più lunga. E noi saremo qui a raccontare questo percorso con le sue accelerazioni, le frenate e i possibili (purtroppo) passi indietro. Ma, con tutti i limiti che un punto di vista necessariamente finisce con l’avere, lo racconteremo per quello che è, senza cadere nella tentazione di sussurrare favole della buona notte in ossequio al politaclly correct.
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